«Swan: non ha altro nome che questo. Il suo passato è un mistero, ma il suo lavoro è già una leggenda. Scrisse e produsse il suo primo Disco d’Oro a quattordici anni, da allora ne vinse tanti altri che cercò di depositare nella zecca degli Stati Uniti. Portò il blues in Inghilterra, e i Beatles in America. Sposò il folk al rock. Il suo complesso, i Juicy Fruits, negli anni ’70, da solo dette vita all’ondata della nostalgia. Ora Swan sta cercando un nuovo magico sound per inaugurare il suo santuario, la sua Disneyland: il “Paradiso”, il massimo tempio del rock. Questo film è la storia di quel sound, dell’uomo che lo creò, della ragazza che lo cantò… e del mostro che lo rubò».
Sul finire degli anni ’60, l’esplosione del glam rock in Inghilterra si rivelò anche un autentico fenomeno di costume che stravolse diversi aspetti del tessuto sociale britannico, ancora vincolato dai canoni imposti da un modello fin troppo conservatore, soprattutto in ambito sessuale.
L’affermazione di gente come Marc Bolan e David Bowie, tra lustrini, glitter e make-up piuttosto vistosi, contribuì così a lanciare un chiaro messaggio di rottura col passato, almeno in termini estetici, basato sui concetti di androginia, di ambiguità, di libertà di espressione.
Si trattava di una nuova forma di controcultura abbracciata, in seguito, anche dai dudes d’oltreoceano (i soliti New York Dolls, Alice Cooper e Kiss) e da tutta la pop culture, a partire da cinema e teatro. E mentre al Royal Court Theater di Londra, il 16 luglio del 1973, andava in scena la première del Rocky Horror Picture Show, inno al travestitismo in salsa horror scritto da Richard O’ Brien e diretto da Jim Sharman, negli States sarà la New Hollywood a portare sul grande schermo le nuove tendenze mutuate dalla terra d’Albione.
Il merito è di Brian De Palma e del suo Fantasma del Palcoscenico (Phantom Of The Paradise), uno dei primissimi esempi di cinema postmoderno in cui il visionario erede di Alfred Hitchcock scompone e rielabora, in chiave glam e shock-rock, classici letterari quali Il fantasma dell’Opera, Il riitratto di Dorian Gray e il mito del Faust, proiettandoli in una dimensione kitsch degna di Ziggy Stardust e il Guerriero Elettrico di Bolan.
Sono solo alcuni, però, dei riferimenti di un’opera complessa, meta-testuale, che si nutre, come Kronos, di una miriade di suggestioni più o meno colte, metabolizzate e rigurgitate con piglio iconoclasta secondo gli eccessi glamour.
Il folle, quanto raffinato, divertissement di De Palma segnò dunque il superamento del classico musical hollywoodiano, rinnovato nel segno di un caleidoscopico citazionismo pop che si rifletteva, inevitabilmente, anche nella colonna sonora del film.
Un valore aggiunto firmato da uno dei grandi cantautori e compositori dimenticati del panorama musicale a stelle e strisce: Paul Williams.
Prima di dedicarsi prevalentemente al cinema, Williams aveva già contribuito al successo di diversi artisti (Three Dog Night e Helen Reddy), legando il suo nome, in particolare, all’easy listening dei Carpenters, per i quali scrisse le hit We’ve Only Just Began e Rainy Days And Mondays. La svolta arriva però grazie all’incontro con De Palma che, oltre ad affidargli testi e musica della sua rock opera, lo scritturerà nei panni del villain Swan, discografico privo di scrupoli giunto nel gotha del music business dopo aver stipulato un patto col diavolo.
Al di là della convincente performance in qualità di attore, saranno proprio le sue canzoni a rivelare un talento compositivo estremamente versatile, capace di virare da un background fin lì prettamente pop verso latitudini più hard, senza disdegnare rapide incursioni nel doo-woop e nel rock’n’roll.
È il caso di Goodbye Eddie, Goodbye, eseguita dalla band fittizia Juicy Fruits, opening track volutamente ambigua che cela, dietro una tragica storia di amore e suicidio a suon di coretti surf, un primo j’accuse nei confronti dello showbiz ai tempi dell’edonismo glam, inteso dal regista come esperienza orgiastica con cui cannibalizzare l’artista attraverso la spettacolarizzazione dell’arte stessa.
Un destino che travolgerà anche il protagonista Winslow Leach (William Finley), disposto a tutto pur di affidare la sua musica all’amata Phoenix (Jessica Harper) nella splendida Faust, ballad pianistica ripresa in chiave parodistica dai Beach Bums (Upholstery) e, successivamente, anche da Williams in una versione non troppo distante dall’Elton John di Goodbye Yellow Brick Road.
E sarà proprio la voce del cantautore americano a regalare i momenti di maggiore intensità nell’emblematica Phantom’s Theme (Beauty And The Beast), struggente presa di coscienza mossa dall’eterno dualismo tra bene e male, amore (per quanto impossibile) e morte: un conflitto con cui Winslow dovrà necessariamente fare i conti dopo esser stato raggirato da Swan.
Particolarmente significativa, poi, la prova in qualità di cantante di Jessica Harper, protagonista assoluta del soft-rock tipicamente californiano di Special To Me e, soprattutto, di Old Souls, altra ballad da brividi in cui i versi sofferti di Williams raggiungono nuove vette di pathos, grazie all’interpretazione della futura Susy Benner di Suspiria.
Il taglio moderno di un musical fin qui molto off-broadway, invece, viene fuori nei brani in pieno stile glam: la trascinante Somebody Super Like You, robusto hard’n’heavy in cui gli Undeads, ennesima band fittizia, diventano riflesso dei deliri del dottor Frankenstein, e Live At Last, cantata da Ray Kennedy per quel moderno Prometeo rock’n’roll ribattezzato Beef (Gerrit Graham), vittima designata dall’industria discografica per placare la sete di vendetta di Winslow.
Discorso a parte merita la conclusiva The Hell Of It, forse la composizione più originale dell’intera soundtrack, introdotta da un riff circolare di stampo sabbathiano pronto a sfociare in un refrain ad ampio respiro, tra pop e music hall, preludio alla danse macabre finale scandita da un inquietante piano barrelhouse: un epilogo che diventa summa dello spirito dark, intriso però di strisciante ironia, dell’intero film.
Uscito nelle sale cinematografiche nel 1974, Il Fantasma del Palcoscenico sarà un flop ai botteghini, incompreso da critica e pubblico, per poi guadagnare nel tempo la fama di cult underground, soprattutto dopo l’affermazione di De Palma nell’olimpo di Hollywood. Andrà subito meglio, invece, alla colonna sonora di Williams, candidata agli Oscar del 1975, ground zero del suo lavoro al cinema culminato nell’Academy per la miglior canzone con Evergreen (Love Teme From A Star Is Born), da È Nata Una Stella, scritta per Barbra Streisand due anni più tardi.
Altre storie, altri percorsi, partiti però da quel musical glam-horror destinato a rappresentare una parentesi, nonché un importante spartiacque, nella carriera di entrambi.
They sold their souls for rock’n’roll, e vissero felici e contenti.