Quella che andrete a leggere è un’intervista nata da un carteggio virtuale con Luca Frugoni alias The Castaway, uno dei nuovi volti della musica folk-acoustic italiana.
Romano, vincitore dei premi In The Groove 2016 e Contest Vulci Festival 2016, The Castaway ha già avuto l’onore di aprire i concerti di Daniele Silvestri. Il botta e risposta tra il musicista e Ilaria Sgrò ve lo lasciamo godere così com’è: sarebbe un peccato modificarlo per via della sua genuina spontaneità.
La musica di The Castaway sembra perfetta per una colazione la domenica mattina, per viaggiare in macchina al tramonto, per stare sdraiati sul letto a occhi chiusi. Sento tante influenze che non definirei solo strettamente folk, ma vorrei che fossi tu a dircele.
Innanzitutto ciao a tutti! Beh, ciò che dici è vero. Effettivamente io ho un passato molto legato al rock, in particolar modo ho modellato la mia parte artistica su molte sfumature metal. Sono legato a tutto quel contesto melodico all’interno dell’inferno delle distorsioni e della rabbia. Mi ha sempre attratto la parte “sofferente” di quella musica, l’attimo in cui nella rabbia del growl appare quel fotogramma di debolezza in cui si mostra tristezza. Nel tempo ovviamente i gusti musicali sono cambiati e ho contaminato la mia persona con quanto più possibile, fino a scoprire un’attrazione e un amore per un cantautorato americano pregno di saggezza. Per cui il creare il “momento della riflessione” nei miei brani è diventato quasi necessario affinché io potessi ritenermi soddisfatto. E sì, per arrivarci sono passato per molte strade musicali . Ed è stato bellissimo.
Magari te l’hanno già chiesto: The Castaway ha un riferimento al celebre, omonimo film? In ogni caso, come mai l’hai scelto?
Ahaha ovviamente no, anche se scrivere una canzone di nome “Wilson” non sarebbe male. Il naufrago per me è l’incarnazione metaforica dell’essere umano. Laddove il mare è la vita, incontriamo onde a volte dolci e a volte violentissime, ci perdiamo in mare e a volte rischiamo di annegare. Ma prima di scomparire negli abissi ognuno di noi è un naufrago. In questa spiegazione mi è sempre molto d’aiuto la mia “Sing and Swim”, testo modellato sulla biografia del sottoscritto ma che fa capire bene il perché del nome “The Castaway”.
Riguardo il tuo album Waves, come procede la campagna con Music Raiser? Dacci delle ragioni secondo le quali per te questo disco va ascoltato.
La campagna procede anche se l’ansia sale! Waves è un prodotto che regala, a mio avviso, una fetta di me piuttosto grande e spessa. Potrei dirti che ho scritto le tracce più fighe del mondo ma, anche se volessi abusare di tale presunzione, in musica regna la soggettività. Credo che ciò che renda un prodotto simile attraente sia proprio il fatto che c’è un uomo messo a nudo davanti all’ascoltatore, con le sue paure, le sue ferite e i suoi rimpianti. Se una persona mi “regalasse” una cosa simile di sé, comprerei il disco all’istante.
Subito dopo l’uscita di Waves partirai in tour oppure aspetterai? In soldoni, che progetti hai per il tuo futuro prossimo?
Il punto interrogativo al momento riguarda proprio l’uscita. Quel che è certo è che Waves vedrà un tour. Questo sarà più o meno lungo, con più o meno “chitarra e voce” e basta. Sto scrivendo molte cose nuove, diverse da “Blank Pages” o “Sing and Swim” e mi piacerebbe dunque chiudere un capitolo per poi portarlo tanto in giro a farlo ascoltare. Una volta fatto ciò mi fermerò, continuerò a scrivere, magari mi farò un viaggio in Giappone e rifletterò sul da farsi.
Questa è una domanda più “libera”. C’è qualcosa che reputi interessante/opportuno sapere sul tuo conto, sulla musica italiana (e non solo) e sulla musica indipendente? Insomma, argomento a piacere, io ti ho fornito qualche spunto.
Penso che l’Italia abbia seriamente le potenzialità per creare una rete forte con l’estero, ci sono molti progetti in inglese fatti davvero bene. Al contempo la cosa fighissima è che anche con il cantato in italiano finalmente stanno uscendo fuori dei generi musicali che prima vedevano un coinvolgimento di poco pubblico. Siamo su una buona strada, cerchiamo di non crollare e di non arrenderci. Va bene fare musica per sé da un punto di vista di sfogo, ma bisogna anche combattere affinché si crei una critica costruttiva su ciò che proponiamo. Sappiamo dire la nostra, ed è tempo di tirar fuori la voce!