In questa edizione 2018 lo Spring Attitude, il più noto dei festival elettronici capitolini, prosegue nel suo processo di rinnovamento iniziato già l’anno scorso, sottolineato dal cambio stagionale e spinto al limite per quella è la concezione più classica del festival (italiani ma non solo): l’assenza di veri e propri headliners.
Spring Attitude 2018 – Lontani dallo sfarzo bianco marmoreo di Spazio 900 e da artisti come gli AIR in lineup, guardando il programma spicca l’assenza DELL’ARTISTA che ti fa fare il biglietto a prescindere, vertendo piuttosto sulla costruzione di una line up eterogenea, che parla prevalentemente elettronico ma non solo.
5 Ottobre – Spring Attitude
A rimarcare l’abbandono della classica schedulazione primaverile del festival, una pioggia battente mi accompagna per le vie di scalo San Lorenzo, sede di quel bazar musicale che è l’Ex Dogana, in grado di dedicare nella stessa serata spazi rivolti agli amanti della cassa dritta e agli Erasmus da botellon pre-serata che si trastullano con i revival 80/90.
L’arrivo all’Ex Dogana mi lascia abbastanza basito, immerso in una semi-sconsolante solitudine di spazi vuoti e scarsa fila. Ma a ingannarmi è semplicemente l’ingresso secondario destinato agli accrediti rispetto a quello principale per le prevendite/acquisto biglietti, nonché la distribuzione delle sale nelle ampie aree della location, interamente dedicate al festival. A pagarne maggiormente sono gli Ariwo. La performance nello SA stage – limitrofo all’area accrediti, tutta folklore esotico ed elettronica, sebbene si presti benissimo come warm-up della serata è un appuntamento per pochi intimi del quartetto Cubano Iraniano.
Allontanandomi allora dalle trombe e percussioni della band vengo catturato dalla forza di gravità del pubblico prevalentemente concentrato nell’area del Molinari Stage – più vicino all’ingresso principale, riservato agli acts degli artisti italiani. Alle 23:00 si conta già un buon numero di persone e gli ascoltatori di Maiole nel Molinari riempiono sufficientemente la sala.
Maiole (fonte Spring Attitude Instagram, foto di Giovanni De Angelis)
Se ce ne fosse bisogno il classe ’95 dà ancora una volta dimostrazione di come le doti canore siano assolutamente prescindibili per esibirsi su un palco nel 2018. Le basi catchy elettroniche sono la colonna portante del suo set, accompagnate da testi un po’ strampalati che non hanno alcuna pretesa di prendersi troppo sul serio. Basi che, non so quanto per scelta o per errata calibratura in fase di soundcheck, sovrastano la voce dell’artista campano – che non si fa mancare nemmeno un po’ di contemporaneo autotune, dando l’impressione di essere un Lemandorle venuto male, un po’ alticcio sui synth.
Incoraggiato dalla potenzialità di suonare anche io un giorno sul palco di un festival, decido che impegnare il mio tempo in una fila al bar sia ben più proficuo in ottica di cronaca. Ho difatti modo di constatare anche un’altra differenza rispetto alle passate edizioni: l’eterogenia del pubblico. In questa prima serata dell’edizione 2018 gli astanti sono ben bilanciati in un campione di 18 – 35 enni, senza sbilanciarsi sulle fasce più mature di età come invece il festival mi aveva abituato.
A buttare giù altre mie convinzioni musico-sociali ci pensa poi l’esibizione di Gemello, l’outlier principale in termini di coerenza artistica del festival. L’ex truceklan richiama un pubblico più vicino all’esame di maturità che alla dichiarazione del 730, con tanto di ragazzine in modalità Carl brave+franco126 dall’urlo facile e scomposto, che sinceramente non mi aspettavo per un artista degli anni 00.
Complice il fattore disagio e il mio gusto che non ha mai incontrato quello del rap vecchia scuola mi dirigo verso lo stage che più mi aveva stuzzicato consultando il programma: The 270° Experience. Lo stage è fatto di grandi schermi che ricoprono 3/4 della superficie della sala, su cui 6 proiettori mandano delle visual avvolgenti che invogliano lo spettatore a guardarsi costantemente intorno.
Demdike Stare & Michael England inaugurano il palco audio/visivo – novità dell’edizione 2018, e l’impronta stilistica del loro set dà prova della grande varietà offerta dal programma del festival. Il binomio funziona, e le visual di England (che già aveva collaborato con artisti del calibro di Autechre) si sposano perfettamente con il suono immersivo e l’ottima acustica che permeano lo stage. Le tonalità sono cupe e molto industrial, con fonemi non melodici ma intensi, da forti vibrazioni intercostali. È un’elettronica molto immersiva, sensoriale, con qualche crescendo di beat acidi che vengono coadiuvati sapientemente dalle visual accese, a volte sgargianti a volte meno invadenti, ma sempre in grado di sposarsi perfettamente con l’atmosfera sonora.
Atmosfera che non tutti sono in grado di cogliere: l’experience viene un po’ rovinata da avventori improvvisati che provano senza alcuna comprensione ritmica a ballare sopra i ritmi piatti del duo inglese, e quando uno dei protagonisti in questione decide proprio di invadere il mio cilindro di sicurezza decido di ritornare al Molinari per sentire Frah Quintale .
Frah Quintale (fonte Spring Attitude Instagram, foto di Giovanni De Angelis)
Tra i portabandiera della nuova scena ITpop, lui e Gemello sono sicuramente i trascinatori della quota under 25 della serata. Lo dimostra la difficoltà nell’introdursi nello stage, che mi fa desistere per la seconda volta dall’ingresso. Anche dall’esterno tuttavia si riesce comunque a percepire tutto il calore di un pubblico che adora l’artista sul palco, con il cantato dell’audience che arriva quasi a sovrastare quello del microfono, portando a rivalutare quella che può definirsi la concezione di headliner per un festival in termini oggettivi.
Ripianificando allora la mia timetable anticipo i tempi e mi avvio verso il set di The Maghreban, ritornando nella hall del festival che avevo lasciato qualche ora prima semideserta. Intorno all’ 01:00 lo SA STAGE è abbastanza gremito, e non fatico a trovare il perché. Il set del producer inglese copre almeno tre capitoli del manuale Come tirare su una festa. Appena arrivato il suono è quello del Daphni più ispirato, con quel clima tropicale che riesci a trovare solo nelle feste più prese a bene. Nell’atmosfera da carnevale di Rio che invade lo stage sento partire anche la cover più ispirata di get up stand up mai concepita: è un tripudio di groove. Il set spazia più avanti su sonorità hip hop à la Afrika bambaataa di planet rock, tutto in soluzione di continuità e nell’entusiasmo generale.
Nu Guinea (fonte Spring Attitude Instagram, foto Francesco Civaglioli)
Sono costretto ad andare via un’ora dopo solo perché in procinto di iniziare il concerto dei Nu Guinea. Cavalcando l’onda dell’entusiasmo culturale partenopeo degli ultimi anni, il progetto Nu guinea è sicuramente uno dei più freschi e “sul pezzo” usciti nel 2018, un omaggio alla musica napoletana 70 – 80 che suona però terribilmente moderno. Il set si presenta nondimeno in forma di Live band, con 8 componenti sul palco e un’aspettativa, per i miei headliner personali della serata, così alta da farmi tornare al Molinari con un margine di 15 minuti di sicurezza in anticipo.
La band è carismatica e ispiratissima, con le due voci femminili e quella maschile che all’unisono, anche con una certa componente teatrale, trasmettono un’energia che viene ampiamente restituita dai fragorosi applausi del pubblico. L’album Nuova Napoli, seppur con qualche fastidiosa incertezza dell’impianto audio, viene eseguito nella sua interezza, alternando melodie più tranquille ad altre decisamente più ritmate che fanno ondeggiare anche le facce più losche tra il pubblico. La commistione di suoni della band fa quasi sparire le componenti elettroniche, che suonano impercettibili e creano un’atmosfera di sospensione dalla realtà che rimane costante fino al richiestissimo bis.
A fine esibizione le lancette digitali dello smartphone segnano le 04:00 e c’è spazio ancora per l’ house senza troppe pretese di Dj Coco nello SA Stage o la techno dura al 270 di Deena Abdelwahed per i più stoici, pronti a rivendicare l’animo di un festival che nasce e rimane comunque da dancefloor. Mentre la pioggia ha abbandonato i cieli di Roma, c’è tempo per le chiacchiere da smanzo in un ambiente in cui ognuno, secondo il proprio gusto, soddisfatto sorseggia l’ultima birra prima di riservare i saluti all’Ex Dogana, pronti per il day 3.
6 Ottobre Spring Attitude
Il weekend primaverile autunnale condiziona ancora il cambio stagionale del festival, e la pioggia costringe gli organizzatori ad annullare l’evento pomeridiano pensato per occupare gli spazi outdoor dell’Ex Dogana. Bruno Belissimo , da re del pomeriggio quale doveva essere viene quindi relegato all’ingrato compito di accogliere i primi arrivati della serata. Bruno, come ho avuto di apprezzare qualche mese prima in un’esibizione devastante al Monk, è un re del palcoscenico. Alle tiepide 22:15 il binomio di basso (suonato dal vivo con tanto di passeggiata tra il pubblico) e beat italo-disco riesce comunque ad animare un limitato pubblico ancora con la cena nello stomaco, che gli restituisce comunque il proprio apprezzamento sotto forma di applausi a fine esibizione.
Mavi Phoenix (fonte Spring Attitude Instagram, foto Corrado Murlo)
Proseguo verso Mavi Phoenix nello SA Stage, arrivando vergine d’ascolto della giovane artista. Basito nello scoprire le sue origine austriache dato lo slang alla misfits con cui si è espressa tra un brano e l’altro della sua esibizione, la 23 enne incarna appieno l’archetipo della popstar indie odierna. Bella, canta un po’ in autotune un po’ senza, qualche base mezza trap, qualche verso rap a 3 parole/secondo, una canzone dedicata a GTA V. Tutte le carte in regola per fare presa su un pubblico di adolescenti che, guardandomi intorno e non vedendone, in Italia non sembrano ancora apprezzarla o forse conoscerla.
Un altro aspetto di cui mi rendo conto spostandomi verso l’esibizione di Yakamoto Kotzuga è che la fascia under 25 è quasi del tutto assente in questo day 3, confermando quanto ancora sia l’artista in lineup a condizionare il pubblico che popola l’evento piuttosto che il nome del festival. Ma d’altronde – e con tutto il rispetto, parliamo di un evento di medie/piccole proporzioni e non certo del Sonar, specialmente in termini di budget. Con molti meno pischelli che mi chiedono una cartina lunga rispetto alla stessa ora del giorno precedente ritorno dunque nel 270, dove Yakamoto presenta il nuovo progetto Slowly Fading.
Yakamoto Kotzuga (fonte Spring Attitude Instagram, foto Corrado Murlo)
Lo stage è perfetto per apprezzare il nuovo lavoro del giovane veneziano. Suoni malinconici, asettici, di grande richiamo ad ambienti autunnali melanconici. Nel nuovo progetto sparisce la miscela di elettronica e chitarra elettrica che tanto mi aveva fatto apprezzare la sua sonorità nelle precedenti produzioni, per spingere molto più decisamente su un sound impegnativo e ostico.
A colmare il vuoto adolescenziale di cui parlavo sopra ci pensano gli over 35 accorsi per i Casino Royale. Guardandomi intorno tra il pubblico non riesco davvero a individuare qualcuno che possa tuttalpiù sostenere di essere a due esami dalla laurea e fuoricorso da cinque anni, e il discorso del frontman su come la cbd possa essere ormai accettata dall’audience (e dalla band stessa) come degna sostitutiva del più impegnativo thc sugella il clima di nostalgia e ricordi che trasuda dall’esibizione dalla band.
Casino Royale (fonte Spring Attitude Instagram, foto di Giovanni De Angelis)
Vengono riproposti ovviamente i grandi classici, come Cose Difficili e Sempre più vicino ma essendo un fermo sostenitore della teoria per cui vedere Arancia Meccanica adesso non può avere lo stesso impatto che vederlo al cinema nel ’71 mi sposto verso un artista che al contrario cavalca appieno l’onda della contemporaneità, Lorenzo Senni. Unico Italiano sotto contratto con WARP (la stessa etichetta di un certo Aphex twin) Senni allestisce un set stupendo nello SA stage. Luci e laser degne di uno show pirotecnico riempiono la scena su ritmi super sincopati e velocissimi. Uno stile unico, decisamente personale e distintivo, che può risultare anche straniante ma che incontra i favori della pista. Applausi a scena aperta in chiusura di un set la cui durata (45 min appena) lascia con l’amaro in bocca e la voglia di volerne decisamente di più.
Giorgio Gigli & Bichord (fonte Spring Attitude Instagram, foto di G.De Angelis)
Si ritorna nella 270, dove a farla da padrone è la cassa molto ovattata della coppia Giorgio Gigli & Bichord. Un’atmosfera onirica e ambient accompagnata da bassi persistenti, per un binomio in cui si crea una nuova suggestione senza far perdere le impronte caratteristiche dei singoli componenti.
Tocca poi a Myss Keta, diventata ormai un fenomeno culturale in grado di riempire quasi nella sua interezza il Molinari Stage. Gli aficionados della milanese, con le fedelissime ragazze di porta Venezia al seguito, schieratissimi nelle prime e seconde file seguono a ruota gli inni della cultura trash di cui l’artista è portavoce. Botox e burqa di Gucci la fanno da padrone in un set che lascia perplessi gli amici dei Casino Royale over 35 incontrati poco prima nello stesso stage – in un mix di espressioni basite e wtf reaction, ma è innegabile come Myss K sia una grande entertainer, divoratrice del palco a tutta cassa dritta e frivolezza.
Gli animi sono ormai caldi e intorno alle 02:30 il richiamo del dancefloor è abbastanza evidente tra il pubblico del festival che si riversa, e io con lui, verso lo stage padrone dell’anima danzereccia. Dj Tennis, in una temperatura percepita sicuramente sopra i 40°, sgancia il suo 4/4 scandito benissimo in un’atmosfera in cui le digressioni ITpop e nostalgiche degli anni ’00 sono decisamente sparite e la vera anima da ballo del festival emerge di prepotenza. Si arriva così alla chiusura con Peggy Gou, popstar dell’house music, che riversa tutto il suo groove catalizzante su uno stage che a malincuore, col primo sole a venir fuori, digerisce le luci smarmellate della chiusura. Sipario, facce soddisfatte, security che lentamente accompagna tutti verso l’uscita.
Si chiude così l’edizione 2018 di Spring Attitude, a cui si può recriminare forse di non aver ancora ben delineato nella suo processo di rinnovamento un’identità propria e fortemente riconoscibile, ma a cui va sicuramente il merito di essere stato in grado di amalgamare i gusti di un pubblico spaziante dagli adolescenti a padri/madri di famiglia, senza mai risultare davvero incoerente e dedicando i giusti tempi/spazi a tutto il pubblico accorso.