Si è spento un mese fa, la notte tra l’8 e il 9 febbraio, Andrea Guagneli, batterista dei Brothers in Law.
Questo che state per leggere vuole essere un piccolo ricordo e omaggio, dedicato a lui e alla sua band.
I Brothers in Law sono Giacomo Stolzini (o meglio “Jack” – voce e chitarra), Nicola Lampredi (chitarra) e Andrea “Guagno” Guagneli (batteria). Sono stati uno dei gruppi più importanti dell’underground italiano del decennio appena trascorso e hanno realizzato centinaia di live in tutta Italia e all’estero: in Europa e anche in America, dove hanno partecipato al festival SXSW (South by SouthWest) di Austin e successivamente realizzato un tour di tre settimane. In Italia hanno partecipato ai principali festival indipendenti, ed aperto a molte delle loro band di riferimento (Slowdive, Wild Nothing, Still Corners, Dum Dum Girls).
Così come le altre due band marchigiane dei Soviet Soviet e dei Be Forest (in cui lo stesso Nicola Lampredi è chitarrista), i Brothers in Law hanno dato il la ad una sorta di rinascita della new wave italiana. Sono stati capaci di mantenere l’introspezione tipica del genere nato dalle ceneri del punk, ma contemporaneamente di riportare le chitarre al centro e di inserirvi sopra nuove sperimentazioni e aperture sonore. Nel loro caso legate soprattutto allo shogaze e al dream-pop. In più, i Brothers hanno innestato allo shoegaze una buona dose di c86, il genere che nacque a partire dalle cassettine realizzate dal “New Musical Express”.
Al momento del loro debutto, risalente al 2012, il riferimento principale sono stati senza dubbio gli Slowdive (la band preferita di Guagno). Il loro primo disco ufficiale, Hard Times For Dreamers, esce un anno dopo, nel 2013. Un disco che probabilmente si può riassumere con il termine “essenzialità” e nel quale si delinea chiaramente lo stile della band. Con il secondo disco, Raise (2016) i loro brani raggiungono una sorta di pienezza sonora e il disco dimostra l’acquisizione di una solida maturità, guadagnata anche e soprattutto grazie ai live.
Li ho visti dal vivo proprio in occasione dell’uscita di quel disco. Era febbraio 2016, a Rende (CS). Mi colpì il loro suono arioso, oserei dire quasi brioso. I Brothers in Law sono una di quelle band che mi ha sempre messo di buon umore. Per la realizzazione del disco, e per i live che ne seguirono, la band aveva aggiunto un quarto elemento, Lorenzo Musto, al basso.
Sono territori più introspettivi quelli che sonda la band pesarese in questa nuova formazione, il risultato è sicuramente meno impulsivo rispetto al primo disco. Ed è forse più difficile accostare questo album ad un solo genere, come spesso si è tentati di fare. Il suono dimostra ora maturità ed equilibrio. Se il punto di partenza rimane il dream-pop anni Novanta, la direzione va dritta verso le sonorità che caratterizzeranno la musica venti anni dopo.
Lo scorso 19 ottobre, i Brothers In Law sono saliti sul palco del Covo Club di Bologna per la festa organizzata dalla WWNBB (We Were Never Being Boring). Un’occasione per celebrare i 10 anni della loro etichetta discografica. È stata la loro ultima esibizione. Lo avevano annunciato loro stessi, pochi giorni prima, quando, in un post della loro pagina Facebook, avevano scritto che si sarebbe trattato di una serata da non perdere, perché probabilmente sarebbe stato il loro ultimo live. Del resto, negli ultimi anni ognuno dei componenti si era occupato di altri progetti e un po’ ci si aspettava quell’annuncio.
E il destino (o chi per lui) ha voluto che l’addio alle scene dei Brothers in Law coincidesse anche con quello di Guagno.
Nei giorni seguenti, sui social, tutti gli amici (e anche chi, come me, conosceva solo la band) non riuscivano a smettere di far suonare la sua musica e quella da lui più amata. E in quei giorni mi è capitato di leggere due frasi, che mi piace pensare di potergli dedicare da qui. La prima l’ho letta su Shoegazeblog, l’altra è stata pubblicata sulla pagina Facebook della band.
Su Shoegazeblog, dove Raise era stato inserito tra i venti migliori album italiani di Shoegaze, scrivevano che ascoltare questo disco è: «come ascoltare una storia bellissima che riprende d’incanto da dove si era spezzata, per non interrompersi più».
«Nessuna nota potrà mai suonare il dolore che ci hai lasciato».
Ciao Guagno