Shoegaze:UN SOUND CHE HA FATTO STORIA.
Un suono di chitarra che è distorto, si, ma non quella distorsione crunch cattiva o quella troppo sporca. No, qui nello shoegaze si parla di overdrive carico di delay e punte oscene di chorus e riverberi sopratutto.
Un suono che riconoscerei tra mille, eppure così vario nelle sue sfaccettature e così composito se lo riferisco ai tanti gruppi che ascolto. Se mi avete seguito nel primo articolo che ho scritto per CSI questo che state leggendo ne è il naturale seguito e conclusione.
Mi occupo di shoegaze (ma non solo) e che il genere non sia mai morto lo dice anche un documentario uscito un paio di anni fa e che vi invito a recuperare in qualche modo sul web o ad acquistarlo direttamente su Amazon, ammesso che ve ne sia ancora qualche copia. Il documentario in questione si chiamava Beautiful Noise e in 90 minuti di interviste, testimonianze e video d’epoca dà la chiara e netta portata storica dello shoegaze non solo in Inghilterra, ma in tutto il mondo musicale. Un’onda che nasce a metà anni 80, figlia della new wave e del post punk e che si è propagata fino ad oggi; e infatti il tag-line del documentario è molto chiaro “nessuno di loro ha venduto milioni di copie, ma tutti quelli che li ascoltavano hanno poi fondato una band”. Come si vede l’eredità culturale passa attraverso l’azione di chi viene dopo e i frutti si raccolgono sempre negli anni a venire.
Beautiful Noise, con i contributi di Robert Smith, uno che ha toccato di striscio lo shoegaze con Wish e che può essere reputato anche il padre del dream pop, Kevin Shields, deus ex machina dei My Bloody Valentine e via via Robin Guthrie (Cocteau Twins), Jim Reid e tanti altri, ci fa capire quanto un’attitudine, un sound e un modo di interpretare la musica, sono, oggi, più che mai attualissimi. Io, che ho inziato a scriverne dal mese scorso, sento però la necessità di dare delle coordinate a chi magari non è ancora dentro al genere. Tedioso però sarebbe ripercorrerne le tappe con date e personaggi anche perchè il web è un alleato ben più potente di me e quindi mi limiterò a darvi qualche consiglio, o dritta o semplicemente un assaggio di tutto ciò che lo shoegaze/dream pop ha sfornato dagli anni 90 ad oggi. Nomi storici e non, per un maestoso muro di suono che tarda a morire.
REVOLVER
Misconosciuti eppur mitici. Sonici e delicati, melodie pop in perfetto stile brit per un’avventura racchiusa in due soli album.
ADORABLE
Io questi li adoro, appunto. Against Perfection era il nome del primo album, ma loro, con quelle chitarre tiratissime, rasentano la perfezione.
PALE SAINTS
Più introspettivi, più fragili, ma con esplosioni violente non appena il cuore sta per spaccarsi. Un band sottovalutata, ma ricca di pathos.
SLOWDIVE
Sono tornati. L’assoluta bellezza, il perfetto connubio di chitarre sognanti e voci da altri mondi. Questa band è una gemma senza tempo.
RIDE
Chitarre jingle jangle, ritmiche roboanti per il lato più rock dello shoegaze. Nowhere, con in copertina una maestosa onda, è una pietra miliare del genere.
MEDICINE
Ve li ricordate ne Il Corvo? Vittime, dice Eric- Non lo siamo tutti? E poi sbam! Parte la chitarra assassina. Comunque i Medicine, americani e sponsorizzati anche da Billy Corgan hanno messo insieme un pugno di album in bilico tra My Bloody Valentine e puro noise straniante. Da riscoprire.
LUSH
Dream pop scintillante, melodie sussurrate e avvolgenti per una band che con Spookie raggiunge il suo zenith.
CHAPTERHOUSE
Avrebbero meritato di più. Sulla scia dei Ride, ma più sommessi in certe cose.
CATHERINE WHEEL
Forsennati nelle loro cavalcate chitarristiche, evocativi nelle loro melodie mai urlate. A tratti punk, mai banali.
MY BLOODY VALENTINE
Loro, sono loro. Loveless è la bibbia dello shoegaze.
LOOP
Stoner e shoegaze? Si può fare. Psichedelia anni 60 e pop? Si può fare. I Loop nel farlo sono stati maestosi.
JESUS AND MARY CHAIN
Fanno evolvere la new wave fino ad intuire quei suoni, quelle voci. I fratelli Reid arrivano prima di tutti e ci arrivano con Psychocandy, un capolavoro.
COCTEAU TWINS
La voce angelica, le chitarre liquide, arpeggi sognanti. Tutto questo è marchio di fabbrica di Robin Guthrie e di quella voce, LA voce di lei. Lei è Liz Fraser.
Dario Torre