La ragazza sola sale sul palco. Occupa, in equilibrio perfetto, il centro dello spazio a sua disposizione, tra gli strumenti muti e scalpitanti, come il pubblico della sala concerti.
Appena Rossana De Pace fa vibrare le corde vocali, tutti capiamo che non è una ragazza, bensì una giovane donna dai capelli lunghi, castano chiari, il sorriso gentile e un’espressione velata di sofferenza, una sofferenza lieve, mai ostentata.
È l’8 marzo, e allo sPAZIO211 di Torino si celebra la donna con una vera portavoce.
Una gran voce direi, che a momenti ricorda quella di Veronica Lucchesi de La Rappresentante di Lista, altre volte Maria Antonietta, soprattutto per i temi che affronta, di natura spirituale, accompagnata dalla sua chitarra acustica, una loop station e un pad pedale a grancassa.
Con Rossana parlerò più tardi, a fine serata, mi racconta che è di origine pugliese, arrivata da poco a Torino è già riuscita a procurarsi parecchie date.
Ha studiato canto pop al conservatorio, ma i suoi testi e la sua musica possiedono una forza e raffinatezza che va oltre il pop.
Rossana De Pace
Dopo la sua manciata di brani d’apertura, il palco viene immediatamente calcato da tre artisti completamente diverse dalla precedente.
Il progetto si chiama Il Solito Dandy. “Grazie a tutti, siamo felici di essere tornati a Torino”
I ragazzi giocano in casa anche se da tempo si sono trasferiti a Roma per tentar fortuna.
Quello che mi colpisce immediatamente è il loro outfit: camicie di seta fantasia, baffetti ben curati per il chitarrista, ciuffo biondo anni Novanta per il cantante, ha uno scorpione tatuato sul polso, tutti sono muniti di auricolari-monitor e si muovono come se fossero davvero arrivati da una Roma anni ’80/’90.
Il terzo musicista si occupa delle basi elettroniche, i bassi e le tastiere dal suono sintetico alla Thegiornalisti.
La voce del dandy ha una vena rauca alla Rino, che sulle basi elettroniche a tratti crea scompiglio nella memoria nostalgica degli amanti di Gaetano.
Va tutto bene, fino alla fine della performance, quando nell’ultimo brano succede una cosa che mi turba, ma per capire il perché dobbiamo fare qualche passo indietro fino alla mia adolescenza, ma che è essenziale per capire il perché della mia reazione.
Quando ero pischello avevo fondato insieme agli amichetti di provincia la mia prima “band”, che con nostro immenso orgoglio si chiamava Little girl from sweden, un po’ per le nostri ambizioni sessuali (mai soddisfatte neanche in sogno), un po’ per citare uno dei primi versi di Californication dei Red Hot.
All’epoca, oltre a suonare cover raffinate, ci cimentavamo nella composizione e nella scrittura di brani originali. Uno di questi si intitolava “Droga Naturale” e nel ritornello diceva appunto “Tu sei la mia droga naturale”.
Il cantante dell’epoca, che scriveva i testi, era molto soddisfatto di questa una metafora ricercata, poiché esprimeva tutto il nostro spirito rock.
Io già all’epoca non capivo il perché, ma facevo fatica ad accettarle questo verso, avevo sedici anni e, forse, già subodoravo la scontatezza.
Da quel giorno in poi tutte le volte che sento le declinazioni possibili della metafora, non riesco a sopportarle. Quando Il solito Dandy se ne esce con: Mi manchi, sei la mia droga sintetica, io cado a terra come a seguito di un HeadShot.
Si parla di serate, di amori e di città, si citano Calcutta, Corso Vittorio, il Liga e dinosauri di plastica, questo lo posso capire, ma sei la mia droga, no.
A parte questo piccolo particolare, le canzoni hanno un buon tiro e il pubblico si scalda e comincia a ballare di gusto, soprattutto nell’ultimo pezzo.
Il Solito Dandy
Il Dandy si sa, è una figura che ha sempre avuto un debole per le donne, e a modo suo le ama tutte, indistintamente.
Un’ottima scelta per questa serata. Ora che il palco è caldo e il pubblico anche, è il momento del cantautore calabrese naturalizzato romano, che più di tutti sa cosa vuol dire amare.
Con ben tre canzoni che hanno come titolo il nome di una donna, un ultimo album pieno di serenate: sto parlando di Scarda.
Nico Scardamaglio, classe ’86, racconta amori sbocciati e storie sfiorite, con la semplicità di una mimosa gialla, come la palazzina dove abita ragazza protagonista del suo immaginario poetico.
Quasi riusciamo a vedere, attraverso le finestre semichiuse degli appartamenti, la vita che scorre, i gesti quotidiani, la distanza che ci separa dall’altro.
E io apprezzo, perché ho sempre amato spiare nelle case, con lo stesso spirito voyeuristico di quando si va al cinema, seduti sulla nostra poltroncina comoda, a mangiare pop-corn protetti dal buio della sala.
Rime baciate, scanzonate che entrano in fretta nella testa del pubblico, che canta a squarciagola ogni singolo brano, e si muove ondeggiando quasi come fossero al mare, perché la spiaggia è l’habitat naturale della sua chitarra acustica: già ce lo immaginiamo di fronte a un falò a cantare tutti in coro.
L’atmosfera dello sPAZIO è così calda che, per usare una metafora del cantautore, anche le nuvole lasciano posto al sole.
Sulle note del brano Mai, Scarda mi ricorda musicalmente il collega e conterraneo Brunori sas, mentre mi colpisce positivamente la metrica e la tematica di Serenata del Muratore, un racconto d’amore proletariato.
Fine primo tempo, i musicisti lasciano solo sul palco il ragazzo per eseguire la canzone che lo ha portato al grande pubblico e a una candidatura per il David di Donatello e a una Targa Tenco per miglior opera prima; colonna sonora del film omonimo Smetto quando Voglio.
Il concerto si conclude dopo un lancio di un limone nel pubblico, acchiappato da un fan sfegatato, qualche errorino negli attacchi delle canzoni, risolti con un caloroso applauso.
Un 8 marzo allo sPAZIO211 fatto di tanti racconti che passano attraverso la voce di una giovane donna come Rossana, da chi a suo modo ama le donne, e da chi le sa cantare attraverso immagini di leggera poesia.
Palazzina Gialla