Questo fine settimana siamo stati al Monk per seguire uno dei festival più interessanti della stagione romana: il Rome Psych Fest.
La prima sera ho avuto il piacere di fare due chiacchiere con Valerio Mirabella, uno degli ideatori del festival italiano dedicato alla psichedelia, che avevo visto tempo fa sul tetto del Lanificio per il suo progetto MAMI WATA.
Rome Psych Fest. Terza edizione. Si tratta di un tipo di festival molto diffuso all’estero, anche in altri paesi europei oramai. In Italia siete dei precursori. Come è andata e come sta andando?
Fare un Festival è sempre fare un atto di coraggio puro. Tu parli di Europa, io parlerei di Stati Uniti, perché la vera nuova ondata di festival psichedelici parte da Austin, con i Black Angels e tutta la gente che li circonda. E’ da lì che è partita questa tendenza degli psych fest. Poi senza controllo questo fenomeno si è sparso a macchia d’olio. E’ migrato di testa in testa. Le idee sono circolate.
In Europa ce ne sono stati tantissimi. Noi covavamo questo desiderio da anni.
Poi è successo che ci siamo trovati al Monk a parlarne e abbiamo scoperto che c’era anche altra gente che lo voleva proporre e abbiamo creato una specie di collettivo organizzativo: c’è Fabio De Marco di DNA concerti e ASAP Arts; io con The Roost; Alessandro Montemagno che è il frontman di una band, i Big Mountain County. Noi tre insieme al Monk abbiamo deciso di unirci e buttarci in questa avventura abbastanza pazza perché nel sud Europa c’è molta poca psichedelia. E’ sempre una grande scommessa portare le band a Roma e nel centro-sud Italia e fare un festival significa avere diverse band straniere disponibili nello stesso momento.
La cosa interessante di quest’anno è anche la commistione di generi: si va dalla cumbia al folk, dal post rock al cosiddetto indie italiano, tutti messi insieme, da una sorta di filo conduttore, un collante psichedelico.
Questa è stata le scelta di quest’anno. L’ambito della psichedelica oggi è prevalentemente quello rock. In passato non era così. Anzi, le istanze della psichedelia dalla California sono state trasportate in tutto il mondo e ne sono arrivate tantissime in America Latina, che per molto tempo ha subito una grande influenza dagli Stati Uniti. E così come il rock n’ roll, anche la psichedelia è arrivata a toccare generi più tradizionali dell’America Latina, dei Caraibi, dell’Africa. Quest’anno c’è stata la volontà esplicita di mettere insieme tante band che guardavano a questo tipo di culture diverse e non solo quella di matrice anglosassone .
La “spunta” indie – come inteso in Italia – è forte. C’è Any Other, c’è Sacramento. La parte un po’ più pop della musica psichedelica l’avete intercettata e fatta vostra in questo festival.
E’ sempre stato così. Ci sono stati gli WOW qui, la band 42 records. C’è stato Andrea Laszlo De Simone che fa un cantautorato italiano molto sghembo e sperimentale: quasi quasi guarda di più alla canzone italiana anni ‘60, che paradossalmente aveva più elementi psichedelici di quelli che può avere un indie contemporaneo.
Quando organizzi un festival devi avere un po’ uno sguardo strabico.
Da una parte devi pensare a una tua idea di festival e dargli un imprinting tuo personale. Fare questo lavoro non ha senso se non si scommette sulle proprie idee. Ma devi guardare anche il mercato e quello che funziona nella città in cui scegli di fare il festival. Questo festival si chiama Rome Psych Fest ed è un festival che si vuole radicare a Roma. Basta guardare le locandine per rendersene conto. E’ quasi tutto fatto giallo e rosso! Ma, al di là del colore e di altri elementi grafici, c’è l’idea di far vivere a questa città un respiro underground internazionale e lo si fa puntando su questo tipo di idee. Any Other, o WOW, o Andrea Laszlo De Simone servono anche a intercettare un pubblico italiano che segue l’indie, poi viene qua e scopre che quell’indie ha delle cose in comune con degli artisti internazionali che come i Dead Meadow stasera, fanno psichedelia da vent’anni.
Ultima domanda. Le illustrazioni di quest’anno sono spettacolari. Due parole su come hai trovato l’illustratore.
L’ho trovato a Cuba. E’ inglese e si chiama Lewis Heriz. Ero a Cuba in un festival di “elettronica” (tra le dovute virgolette) che si chiamava Manana. Tre anni fa. Ero lì con la mia radio. Era un festival eccezionale. E lì ballando con un live di Quantic ho conosciuto un ragazzo inglese. Rapide presentazioni, nome e cognome, tu che fai in Inghilterra, tu che fai in Italia. Lui mi dice che è il grafico della Soundway Records. Io gli dico “tu sei Lewis Heriz!”. Lo conoscevo benissimo: quel tipo di illustrazioni mi piacevano già da morire. E lì proprio in pista mentre ballavamo ci siamo detti “io e te lavoreremo prima o poi insieme”.
Quando si è trattato di fare la grafica del Rome Psych Fest il primo anno abbiamo scelto degli artisti italiani. Il secondo anno ho detto “ragazzi secondo me questo è un bel contatto, proviamoci!” e abbiamo lavorato con Lewis. L’idea era di cambiare grafico a ogni edizione proprio per dare spazio a nuovi artisti. Ma con lui è andata così bene che l’abbiamo riconfermato anche quest’anno e se possibile si è superato.
L’anno scorso è venuto per la prima volta a Roma: il pacchetto comprende tra l’altro “fai la grafica e vieni al Rome Psych Fest con la tua ragazza!” Quindi per la prima volta ha visitato Roma ed è tornato con un bagaglio di fotografie ed esperienze personali. E con quegli elementi lì è riuscito a sistemare la grafica di quest’anno che pone l’uomo e il suo sguardo al centro e lo trasforma.
Psichedelico!
di Damiano Sabuzi Giuliani, foto di Laura Colarocchio