Rolling Stones, ma non solo.
Reduce dal raduno degli Zen Circus e compagnia bella a Villa Inferno, giungo con il mio socio recuperato a Bologna, in quel di Lucca peri Rolling Stones.
Parcheggiamo al costo di 15 euro e ci avviamo a piedi verso il centro.
Mentre cammino, penso sia finalmente giunta l’ora di fare pulizia nel cellulare e cancello l’applicazione dei Rolling Stones, una applicazione alquanto inutile perché alla fine i biglietti li abbiamo trovati con il classico metodo del passaparola e ad un prezzo onesto. Lucca l’è proprio un chicchino, lo penso ogni volta che ci vado e vederla in versione Stoniana è simpatico, quasi tutti i negozi in generale hanno un accenno al logo degli stones e le vie sono un tripudio di persone con magliette di ogni tipo.
C’è chi ha quella del tour dei primi 2000 , chi ha la versione tedesca e altri hanno quella della dello zip code tour del 2015. Il mio collega sostiene che non siamo originali nell’indossare le maglie dei Rolling Stones. Io gli rispondo invece che è bello per quello, perché vedi tutti con le magliette delle differenti annate, è un po’ come un raduno delle Ferrari o delle Vespe.
Camminando incontriamo anche un vip per strada, io non ricordo il nome e dico al mio compare, ad alta voce: Guarda! C’è Gigi D’Agostino!
Scoprirò dopo alcune ore che in realtà era Roberto, ma chissenefrega, W l’ignoranza!
Ci fermiamo a fare quattro chiacchiere con due ragazze che ci lasciano i flyers del “Lucca piccante”, trattasi della mostra del peperoncino, a dire la verità del “capsicum annuum” non me ne importa più di tanto ma, vedendo gli occhi azzurri di una delle due ragazze, mi verrebbe di restare lì a pasturare per tutto il pomeriggio (forse sarei passato a parlare dell’effetto rubefacente, revulsivante o avrei improvvisato).
Dopo circa una quindicina di minuti giunge il titolare e noi smammiamo andando a sederci all’angolo della chiesa di San Michele in Fiore.
Nel casino generale, stiamo aspettando che si faccia un po’ più tardi prima di entrare nella bolgia. Anche se la piazza lo è già. Un soggetto strano con un maglia con scritto in verde bianco e rosso grullo grullo grulli fa lo scemo per intrattenere i passanti con una go pro su di un biroute elettrico mentre alle sue spalle un ragazzotto che suona i pezzi degli Stones, non male se non fosse che è agghindato con un gilet di paillettes fuxia ed un cappellino a cilindro viola.
Nel marasma seduto su di un gradino, appoggiato di schiena ad una colonna ci sono anche io che schiaccio non so come un pisolino di 10 minuti. Ah! Dimenticavo! C’è anche un signore americano che ha la giacca bianca che sembra la copertina di “Some Girls” che fa colpo su tutti.
Ci dirigiamo verso le entrate e perdonatemi se parlerò degli Stati Uniti ma la differenza l’ho vista. Nessun serpentone ordinato da seguire per entrare, ma invece quel bel tappo di gente che non scorre e gli usuali saltatori di fila.
Oltre a questo però una cosa nuova. Non so se avete presente il ponte Milvio di Moccia, quello dei lucchetti attaccati. Ecco! Il sovrapassaggio dove c’era l’entrata, era un fottio di borse e zainetti, buttati alla rinfusa, gente che si lamentava e che al massimo entrava con un panino ed una bottiglietta d’acqua. Nulla da eccepire sui tripli controlli che di questi tempi sono una cosa rassicurante, ma una maggiore organizzazione non sarebbe stata male, tipo una sorta di deposito o altro e non attaccati al ponte come dei salumi in stagionatura.
Fatto sta che entriamo e subito troviamo due amici, la zona è veramente affollata e loro decidono di provare ad andare più avanti, intanto ci sentiamo telefonicamente con la crew del “music makes the world a better place“.
Non é facile arrivare dall’altra parte infatti c’è un assembramento di gente compatto tra le due torrette, capirò più tardi che sono tutti pressati perché la visibilità è molto ridotta e quello è l’unico punto che ne ha. Li raggiungiamo e dopo i baci e gli abbracci iniziamo a cercare spietatamente un modo per accedere alle gradinate e con tutto l’ingegno e le tecniche di mimetizzazione che conosciamo proviamo a creare una sorta di braccialetto lascia passare per riuscire a vedere qualcosa.
Nulla. Restiamo nel recinto. Dopo poco vedo passare una giacca di pelle nera e rossa. Mi viene da ridere, è Appino che si è materializzato da Villa Inferno a Lucca, quindi mi avvicino e gli dico: “Bella questa Villa inferno!” e lui con la voce mancante, mi risponde: “C’eri anche tu!?” Io rispondo affermativamente chiedendogli come fa ad essere lì dopo la serata passata e lui mi risponde che non lo sa neanche, ha solo due ore di sonno addosso. Passa un’ora e iniziamo ad essere alquanto assetati, ci dirigiamo verso lo stand, il mio compare chiede una bottiglietta d’acqua e la ragazza risponde che servono i TOKEN e che il minimo da prendere sono 4.
Controllo il costo e scoprirò quindi che toccherà spendere 15 euro per prendere una bottiglietta d’acqua e lí capisco la storia di poter portare solo un panino ed una bottiglietta d’acqua. Maledetti Token, la sento quasi come una mungitura… Ma chi li ha inventati?!
Dopodiché inizia il concerto.
Sympathy for the Devil e la partenza non è delle migliori, una chitarra di Richards alquanto alta rispetto al resto del gruppo e una prestazione inferiore al concerto al quale ho già assistito.
A Watts parte pure un colpo di grancassa gratuito, è proprio vero che due anni in una persona anziana possono fare la differenza.
Abbiamo fatto un calcolo delle età Richards 74 + Watts 76 + Wood 70 + Jagger 74 = 294 anni.
Quindi ci sta pure che questo concerto sia “No Filter” con qualche errore. Nonostante tutto comunque c’è una ripresa, ma non è speciale. Ingranaggi che si ungono sotto il peso degli anni danno vita a It’s only rock’n’roll but I like it e Tumbling Dice, due pezzi del nuovo Blue & Lonesome, Just your fool e Ride em dow.
Poi la canzone scelta dal pubblico Let spend the night together. E ancora un calo. Cioè una versione di A tears go bye in italiano e un Richards da solista che potrebbe stare benissimo all’interno di un evento come la sagra del tortellone di Ozzangeles (Ozzano dell’Emilia). Ecco quindi You can’t always get what you want e da qui in poi le cose prendono la piega vera, finalmente!
Honky tonk woman, Paint it black, Slipping away, Miss you.
Poi l’apice del concerto, l’essenza Rolling Stones come Dio comanda, una Midnight rambler che ci fa muovere a dovere e via con Street fight man e Brown sugar, a questo punto uno degli amici mi da una pacca sulla spalla e dice di guardare alla mia destra, vedo una ragazza che ha lasciato in mano al suo fidanzato tutta la roba e con le tette al vento sballonzolanti balla scalmanata tra le persone (questa cosa mi mancava ad un concerto).
(ho apprezzato).
Poi è il momento dei bis con Gimme shelter e Jumping jack flash.
Il concerto è terminato, appare sullo schermo la scritta BIS BALD, capiamo che questo “Arrivederci” non è stato riaggiornato dopo il concerto di Zurigo.
Che posso dirvi, amo i Rolling Stones, sono più di 50 anni di Rock ‘n’ Roll, erano il gruppo che piaceva a mio padre, ma questo concerto mi ha lasciato l’amaro in bocca perché capisci che sí, loro ci sono ancora, ma contro il tempo non puoi farci proprio nulla.
Per quanto riguarda l’organizzazione invece, si poteva fare molto di più.
Non solo dire: Se volevate vedere meglio, spendevate di più quando il minimo per un biglietto era di 130 euro. Il giorno dopo ho letto sul giornale che gli incassi sono stati bloccati, ma come ogni volta cadrà tutto nel dimenticatoio.
Penso che ricorderò con affetto quello Zip Code ad Atlanta.