Un pensiero ragionato, fra quarantena e privilegio di classe, sul supporto al mondo della musica in questo momento difficile.
In queste settimane, gli organizzatori di concerti stanno provvedendo ad avvisare i clienti che abbiano acquistato biglietti per concerti rispetto alle modalità attraverso le quali accedere al rimborso causa Covid-19.
Secondo l’art. 88 del Decreto Legge n. 18 del 17/03/2020, è riconosciuto infatti il diritto di richiedere il rimborso (tramite voucher) dei biglietti acquistati, anche qualora lo spettacolo fosse stato rinviato ad una nuova data, come è spesso il caso, almeno per i concerti di artisti italiani in Italia.
Nel frattempo, il lockdown colpisce le economie nazionali con importanti crolli delle stime di crescita e i quasi 170mila lavoratori del settore musicale italiano si trovano ad affrontare una situazione di crisi senza precedenti e dal futuro incerto.
Il 4 marzo il Governo ha infatti sospeso ogni tipo di manifestazione pubblica, procedendo successivamente alla chiusura, a livello locale e poi nazionale, anche di tutte le attività commerciali legate alla musica.
Se è vero che dal 4 maggio passeremo alla cosiddetta “fase 2” di allentamento delle misure restrittive poste in essere da una lunga sequela di decreti, circolari e ordinanze, quello che sappiamo è che non solo è difficile immaginare una piena ripresa del settore musicale e dello spettacolo, specie per la sua componente dal vivo, ma che questi settori sono stati sostanzialmente dimenticati dal legislatore.
Assomusica, una delle principali associazioni rappresentanti la categoria, stima che entro la fine della stagione estiva le perdite ammonteranno a circa 350 milioni di euro, solamente per i live. A questi andrebbero aggiunti i circa 600 milioni provenienti dall’indotto e le perdite per il mancato versamento dei diritti d’autore.
Se allarghiamo lo sguardo verso la produzione musicale, la FIMI stima che le vendite di CD e vinili siano calate di oltre il 70% per i mesi di marzo e aprile, cifre che non è possibile compensare con la solita vendita tramite store digitali.
Dietro queste cifre, allarmanti eppure fredde, come queste settimane di continui numeri ci hanno insegnato essere, ci sono le storie e le vite di migliaia di persone, artisti, tecnici, musicisti, operai, macchinisti, fonici, titolari e dipendenti di esercizi commerciali di prodotti musicali o di live club, che da un giorno all’altro hanno subito contraccolpi durissimi dal punto di vista economico e professionale.
Un intero comparto che, come accade anche ad altre fasce di popolazione e categorie professionali, sembra essere del tutto invisibile agli occhi dei decisori, in particolare a livello nazionale.
Ma l’emergenza Covid-19 e la crisi che ne conseguirà non sono uguali per tutti e chi lo afferma non tiene conto, per mancanza o deliberatamente, delle differenze sociali e di classe. L’incertezza che imperversa sul Paese è particolarmente pronunciata per alcune persone e categorie più che per altre e certamente lo è per la maggior parte dei lavoratori dello spettacolo.
Certo, il discorso è ampio e non abbiamo la presunzione di entrare nel merito di tutte le casistiche possibili: dal lavoro in nero alle major , ci sarebbe molto di cui parlare, ma riteniamo utile ragionare rispetto alle azioni da mettere in campo.
Cosa fare, allora?
Mentre le associazioni di categoria AFI, Anem, Assomusica, FEM, FIMI e PMI hanno immaginato e consegnato al Presidente del Consiglio Conte e ai Ministri dei beni Culturali e dell’Economia, Franceschini e Gualtieri, 10 proposte di interventi immediati, ognuno di noi può agire in coscienza e secondo le proprie possibilità.
Una delle azioni più immediate, evidentemente per chi può farlo, potrebbe allora essere quella di mostrare supporto e vicinanza al settore evitando di chiedere i rimborsi per i concerti già acquistati, “investendo” così nella musica, con la speranza di poter tornare presto a scaldarci sotto ai palchi di tutta Italia.
Ci state?