Il 25 ottobre è uscito il primo disco de La Scala Shepard, Bersagli. Siamo stati allo showcase di presentazione a Radio Rock.
Sono ormai arrivato alla soglia dei quarant’anni. Da due anni scrivo di musica su questa webzine e ho collezionato, solo in questa sede, 80 articoli tra recensioni e live report. Posso dire con una certa sicurezza che riesco a riconoscere al primo ascolto se un disco mi piace o meno.
Ci sono poi quei dischi che hanno bisogno di essere digeriti. Quei dischi che “a caldo” non dicono nulla, ma poi, con un po’ di pazienza e molti ascolti, se ne colgono le sfumature e si comprende l’essenza del racconto che il gruppo o l’artista vogliono comunicare.
E quelli che, ne abbiamo la mailbox piena, appena provi a sentire una traccia devi spegnere tutto e andarti a lavare le orecchie.
Bersagli, uscito per Goodfellas lo scorso 25 ottobre, rientra nel primo caso: è stato un disco diretto e immediato al primo ascolto.
Chiaro negli intenti del gruppo anche se alcuni passaggi non sono così facili.
Sebbene sia disponibile sulle principali piattaforme di streaming solo da due settimane, ho passato tutto ottobre consumando il disco grazie al pre-ascolto riservato su Soundcloud.
Ogni mattina in questo mese, Bersagli è stata la mia colonna sonora del tragitto casa- lavoro. Vivendo quasi in periferia e lavorando al centro, in pratica ogni giorno riuscivo ad ascoltare tutte le 10 tracce per 34 minuti del disco.
Non riuscivo a capire il perché di questa ossessione. Più lo ascoltavo più cercavo di capire i punti di debolezza, i passaggi critici o i punti di congiunzione inappropriati tra una strofa e l’altra.
Ma nonostante i miei sforzi di arrivare a scrivere una recensione distaccata, venivo ogni giorno di più trascinato in un vortice che mi costringeva a canticchiare i ritornelli o ad infilami le cuffie per risentire un passaggio anche se nel frattempo dovevo ascoltare altri dischi.
Insomma: Alberto Laruccia, Claudia Nanni, Lorenzo Beretti e David Guerriero (i nomi che si nascondono dietro La Scala Shepard) mi hanno fatto compagnia per un mese intero a loro insaputa e, con le loro voci e il suono dei loro strumenti in sottofondo, ho provato a carpire i loro segreti.
Al primo impatto, l’accostamento de La Scala Shepard ai Baustelle è quasi spiazzante, specie se si considerano il primo singolo estratto, Potesse esplodere questa città o Camera con Vista o la ballata triste e malinconica Via Dupré.
Del gruppo di Bianconi ricordano le canzoni ispirate de La Malavita. O meglio, questo disco potrebbe collocarsi bene tra La Moda Del Lento e il disco che ha segnato il successo del gruppo di Montepulciano.
Ma gli accostamenti non finiscono qui: la modalità di scrittura ricorda un Pierpaolo Capovilla o, per rimanere più sull’attualità, un Diodato.
O, come mi ha fatto notare una collega la sera della presentazione del disco agli studi di Radio Rock, La Rappresentante di Lista.
Ma fare paragoni di questo tipo è quasi normale. Di fatto ricercare ossessivamente i riferimenti o gli accostamenti ad artisti è una sorta di safety zone che ci aiuta ad accettare meglio una novità.
La verità però è che La Scala Shepard dopo 2 EP– Di Passaggio (2015) e Eureka (2016) – sono riusciti a costruire uno stile tutto loro, senza scendere a compromessi o adagiarsi su plagi invisibili, che però possono dare una spinta diversa all’intera opera.
Ascoltate ad esempio Caduta libera e Groove, che è un esempio di ottimi cambi e virtuosismi melodici. In questo caso l’estensione vocale di Claudia fa strumento a sé, ma non è l’unico ingrediente che rende la ricetta Shepard unica.
Questo disco sa di fatica e di sudore in sala prove.
Continui aggiustamenti, litigi e contrasti interni. Un disco che puzza di vecchio stile compositivo, che scende a compromesso tra vecchio e nuovo. Ci sono le chitarre accanto ai synth e alla drum machine. Ma anche lavoro duro alla batteria acustica e quel caldo e rassicurante suono di basso che potrete riconoscere distintamente soprattutto all’inizio della mia canzone preferita: Un giorno di Giostra.
I temi affrontati nei testi scritti da Alberto e Lorenzo (sì, se cercate i colpevoli sono loro due le penne ispirate di questo disco) riprendono i grandi classici della musica italiana ovvero l’amore, la perdita, la passione e i cambiamenti della crescita. Riuscendo però a mettere insieme le inquietudini adolescenziali e le insicurezze del passaggio alla vita adulta.
Le canzoni inevitabilmente tralasciano aspetti più esistenziali della vita come quelli politici e sociali. Avranno tempo per strutturare messaggi diversi in altri dischi, se lo vorranno.
Per ora va bene così.
Bersagli è un disco emozionante e spesso sorprendentemente tenero. Sicuramente un disco romantico con la erre maiuscola.
Buona la prima.
Nelle foto di Mattia La Torre troverete, come in un mosaico, alcuni pezzi dello show case elettroacustico che hanno portato in scena la scorsa settimana presso gli studi di Radio Rock, dove sono andato solo per vedere dal vivo i responsabili della mia nuova ossessione. Per questo ho deciso di non basare questo articolo sul live report della serata, ma lasciarlo alle immagini di Mattia che, ancora una volta, ha saputo cogliere l’essenza della serata.
PS: Bravi nel reggere la serata sul palco e simpatici e divertenti nel raccontarsi e nel raccontare il disco (impresa particolarmente difficile, dato che Bersagli è tutto fuorché divertente) e belli gli arrangiamenti. Ora però li aspetto al varco: li voglio vedere con un set completo alle prese con gli stessi arrangiamenti del disco.
Foto di Mattia La Torre