Se pensate che il cantautorato italiano sia rappresentato dalla torta ormai divorata dell’indie capitanato da Calcutta, Gazzelle, Tommaso Paradiso & Co. potete benissimo chiudere la recensione, cambiare canale, disconnettervi ed andare via per sempre da queste pagine (scherziamo, vi amiamo pure a voi).
Jena Lu rappresenta l’altra faccia della medaglia del cantautorato moderno, quella vissuta, “sporca”, schiacciata nel più infimo underground e che si coltiva e cresce con la propria forza, senza spinta di major, talent show e tutte le schifezze possibili ed immaginabili.
Il suo disco d’esordio “Le dita nelle costole” rappresenta alla perfezione il concetto che Mirko Lucidoni in arte Jena Lu vuole trasmettere.
Una verità spiattellata cruda e fredda come la vendetta, su un piatto non del tutto dorato, una realtà, quella del cantautore che non ha fronzoli, non si piega e nemmeno si spezza, rimane lì, disarmante ogni volta che si preme play ed ogni volta che si inserisce o si toglie il disco dal lettore della propria auto.
Il sound si fonda sul concetto di chitarra e voce, l’energia invece è tanta, robusta e piena di spunti per tutti coloro che vorrebbero ancora prendere in mano una chitarra e farsi sanguinare le dita.
Jena Lu può non piacere a tutti, può essere prevalentemente scomodo per molti ma di certo tiene viva la speranza di quel cantautorato genuino che deve ancora proseguire per la sua strada, senza inciampare su sè stesso.
L’ascolto è consigliato e la traccia che ad un primo ascolto si aggiudica il titolo di best track dell’album è “L’Esodo”.
In conclusione l’album di Jena Lu è una buona prova di carattere e ci auguriamo che il cantautore possa continuare per la sua strada senza mai perdere la propria identità! Consigliato.