Un giorno arriva in redazione il comunicato stampa di uno strano libro sul marketing. Ironico, penso, proprio a Casa Suonatori Indipendenti dove la parole “marketing” e “Impresa” non sono proprio all’ordine del giorno. Così decido da approfondire e farmi spedire il libro.
In poche ore di lettura mi immergo nella storia di Bassel Bakdounes di Castelfranco Veneto, classe ‘79, figlio di mamma trevigiana e papà siriano. Bassel nel 2011 fonda Velvet Media (poi Velvet Media Italia), un’agenzia specializzata in marketing management, web marketing e new media.
Non è una vera e propria autobiografia e non è un manuale sul marketing. E’ più la storia di un ragazzo come ce ne sono tanti in Italia, con una fervida passione per il rock (il punk in particolare) e i manga che contaminano tutto il suo percorso, che un giorno decide di prendere in mano la sua vita.
Tra batoste, spallate e colpi al basso ventre vuole assolutamente creare qualcosa di unico e, nonostante fare impresa in un paese (il nostro) non sia la cosa più facile del mondo, mette su un’azienda che produce e chiude i bilanci in attivo e allo stesso tempo crea lavoro dignitoso per i suoi dipendenti.
Marketing Heroes è la prova che, con impegno e fatica ma soprattutto con il lavoro di squadra e una chiara condivisione degli obiettivi, le cose riescono e riescono pure bene. In una classifica stilata dal Sole 24 Ore sulle 350 aziende italiane che hanno registrato i record di fatturato tra il 2014 e il 2017, Velvet Media è all’87mo posto grazie ad un tasso di crescita del 75,01% derivato da un fatturato che nel 2014 era di 328.000 euro e nel 2017 si è assestato a un milione e 759 mila euro. Dati che peraltro sono in crescita a doppia cifra nel corso del 2018.
Con gli eroi su carta a tracciare la linea maestra e il rock n’ roll a scandire il tempo e a dare il ritmo alle cose, questo libro in realtà parla a tutti noi, imprenditori o impiegati, ricchi o poveri.
Ho bruciato il libro in poco tempo e volevo approfondire un po’ di cose con l’autore. Così gli ho fatto qualche domanda. Ecco cosa ci siamo detti.
Mi spieghi cosa ti ha spinto a trasformare l’esperienza di Velvet media in un libro?
I motivi sono molteplici. In sintesi potrei dirti “la voglia di lasciare qualcosa”. Quella vissuta fino ad ora è un’esperienza che penso possa essere da monito e da stimolo per quanti vogliano intraprendere un percorso simile e non solo, anche per chi si trova ad affrontare obiettivi diversi ma ugualmente sfidanti, per chi ha vinto ma soprattutto per chi ha perso molto.
Partiamo dalla tua punk attitude. Parli dei Sex Pistols e dei Ramones ad esempio che, nella realtà dei fatti, hanno rappresentato l’esatto contrario di quello che scrivi nel resto del libro. I primi sono stati una band nichilista e distruttiva, i secondi erano tutto fuorché collaborativi tra loro all’interno della band fino ad arrivare ad odiarsi. Tu, invece, fin da piccolo ti basi su valori e principi esattamente opposti. Come spieghi questa dicotomia?
L’esempio che fai è concettualmente corretto ma… se prendiamo l’esempio dei Ramones, penso sia, al contrario, l’esempio supremo di come vi sia un’incredibile differenza tra l’essere ragazzini ed essere professionisti. Se analizzo i Ramones, sono l’esempio di come, nonostante le grandi differenze di vedute, problematiche sentimentali etc, il “progetto Ramones” sia sempre andato avanti senza esserne particolarmente intaccato. In questo senso, la squadra è più forte delle manie e paturnie di ogni singolo componente.
Siamo in Italia e siamo nel 2019. Mentre Velvet Media sembra venire da una galassia lontana in un tempo non definito. Qui, nel mondo del lavoro, vige ancora il precariato, il nepotismo, la cooptazione. I lavoratori sono schiacciati e avviliti da questa situazione. Insomma per molte persone la rabbia cantata in “Fortunate Son” dei Creedence Clearwater Revival è ancora molto attuale. Che ne pensi di questa situazione?
Penso che sia in buona parte vero. Il mondo del lavoro deve essere rivisto in chiave moderna. Siamo ancora molto indietro rispetto ad uno standard qualitativo che si possa considerare di livello quantomeno decente. Probabilmente servirà ancora un passaggio generazionale almeno.
Parliamo dei giovani. L’Italia è il primo paese europeo per quota neet: i giovani tra i 18 e 24 anni che non hanno un lavoro né sono all’interno di un percorso di studio o di formazione sono il 25,7% a fronte di una media europea del 14% (dati 2017). Il tuo libro sembra parlare anche a loro per incoraggiarli. Qual è il tuo messaggio per loro?
Certo. Soprattutto a loro. Il fatto è che da una parte il divario scuola/lavoro crea ancora un grande gap tra quelle che sono le esigenze del mondo del lavoro (quello vero) e il livello di formativo delle persone che escono da percorsi universitari vari. Dall’altra parte sono pochi i giovani con le palle (si può dire?), quelli disposti a mettercela davvero tutta per arrivare ad un obiettivo professionale. Trovo spesso poca umiltà e questo concetto che “tutto è dovuto” che mi sembra sovente pericoloso. Amo invece chi è carico di volontà come una molla, chi si informa per conto suo, chi coltiva una passione con tenacia, chi cerca di integrare e colmare il divario scuola/lavoro con ogni mezzo, partendo appunto dal presupposto che nulla è regalato.
Una delle parti che ho trovato più interessante è quando parli della mission e della vision di un’azienda (io voglio diventare il re dei pirati) dove parli dell’importanza degli obiettivi chiari e condivisi. Sacrosanto direi. Ma nella pratica, soprattutto in aziende o imprese strutturate, non sempre è così e anche quando uno ci prova poi ci sono sempre i veti, le forzature e le tattiche interne del “più forte” che tirano da una parte o dall’altra. Immagino che avrete lavorato con decine di aziende che hanno obiettivi poco chiari e soprattutto non condivisi da tutti. Cosa si fa in questi casi?
Il concetto di obiettivo è cruciale in qualsivoglia realtà competitiva. Che si parli di gare sportive o di aziende poco cambia. Penso che questo concetto sia emerso a più riprese sul libro. Obiettivi poco chiari portano a risultati dubbi. Quando ci troviamo di fronte a queste situazioni cerchiamo di far capire in primis al nostro interlocutore che, per potergli veramente dare una mano, abbiamo bisogno di sapere realmente quali siano gli obiettivi da raggiungere. Senza avere chiaro dove si vuol andare, si rischia di adottare soluzioni fuorvianti
Chiudo con questa. È un bel libro, anche esteticamente. Ottima grafica, sintassi ed editing fatti apposta per leggerlo rapidamente e allo stesso tempo farti rimanere in testa alcuni concetti o passaggi. Insomma l’impressione che ho avuto a caldo dopo la prima lettura è che è il più gran bel biglietto da visita che ho mai ricevuto in vita mia. Era anche questo l’intento?
Hai vinto! Si ecco, non ti ho risposto in prima battuta così per non rovinare il gran finale ma diciamo che un altro dei motivi che ci ha spinto a confezionare il libro in questo modo e a volerlo fare a tutti i costi è sicuramente il fatto che sia un biglietto da visita per clienti e fornitori, partner e prospect. Così uniamo il concetto di regalo vero a qualcosa di utile e, se vogliamo dirlo così, di “intimo”, al punto di mettere allo scoperto tanto punti chiave di Velvet.