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|Review| Gigaton, i Pearl Jam, l’ecologia e la malattia della globalizzazione

L’ecologia e gli eventi legati al cambiamento climatico sono il cuore pulsante di Gigaton.

L’undicesimo album in studio dei  Pearl Jam segna il loro ritorno sulla scena mainstream, con tutta la maturità di saper unire (con ragionevolezza) i messaggi politici all’aggressività del rock.

Sono passati cinquant’anni dall’uscita di Big Yellow Taxi, canzone scritta e interpretata da Joni Mitchell e uno dei primi brani rock della storia a toccare temi ambientalisti ed ecologisti.

Negli anni recenti, invece, di canzoni e album tematici e accorati appelli da parte di musicisti e rock star per la difesa dell’ambiente ce ne sono stati a bizzeffe.

Gigaton è un disco che parla di ecologia e dell’importanza dei cambiamenti climatici fin dal titolo e dalla copertina.

“Gigaton” infatti è un’unità di misura di massa equivalente a un miliardo di tonnellate: viene utilizzata in climatologia per quantificare il distacco di ghiaccio ai poli e, per rendere ancora più chiara l’idea, la band di Seattle ha scelto, come copertina del disco, una foto del fotografo Paul Nicklen che immortala proprio un ghiacciaio.

Ascoltando questo disco (uscito venerdì 27 marzo) in piena emergenza Coronavirus, non ho potuto fare a meno di unire i puntini perché, se da una parte ancora viviamo in una situazione di tremenda incertezza su come andrà a finire questa storia, dall’altra abbiamo la certezza che i cambiamenti climatici sono una delle cause delle diffusione del Covid-19.

Come ha scritto Paolo Giordano in Nel contagio, un libricino scritto in soli 8 giorni dal fisico e scrittore (autore, tra gli altri, de La solitudine dei numeri primi):

[…] esistono universi microbiotici di cui non abbiamo alcuna idea, interazioni fra le specie che non abbiamo neppure ipotizzato.
La nostra aggressività verso l’ambiente rende sempre più probabile il contatto con questi patogeni nuovi, patogeni che fino a qualche tempo fa se ne stavano tranquilli nelle loro nicchie naturali.

La deforestazione ci avvicina a habitat che non prevedevano la nostra presenza, l’urbanesimo inarrestabile pure.
L’estinzione accelerata di molte specie animali costringe i batteri che vivevano nei loro intestini a trasferirsi altrove.
Gli allevamenti intensivi creano colture involontarie dove prolifera, letteralmente, di tutto.


Chi di noi può sapere cos’hanno liberato gli incendi smisurati in Amazzonia dell’estate scorsa? Chi è in grado di prevedere cosa verrà dall’ecatombe più recente di animali in Australia? Microrganismi mai censiti potrebbero aver bisogno urgente di una nuova patria. E quale terra migliore di noi, che siamo così tanti e saremo sempre di più, che siamo così Suscettibili e abbiamo così tante relazioni, che ci muoviamo dappertutto?


[…] non sono tanto i nuovi microbi a cercarci, ma noi a stanare loro.

Insomma, il messaggio di Giordano, così come quello di Eddie Vedder e compagni, è chiaro:

è necessario rivedere i nostri stili di vita e fare in modo di convincere gli stati nazionali a mettere al centro dell’agenda politica strategie di lungo termine di mitigazione dei cambiamenti climatici.

Con Gigaton il messaggio dei Pearl Jam va in questa direzione e viene rafforzato grazie al fatto che, nel complesso, l’ultima fatica discografica, che arriva dopo quasi sette anni da Lightning Bolt, è un disco brillante, energico e credibile.

Anche se ci sono molte sperimentazioni, oggi più che in passato, la vecchia band paladina del grunge è riuscita ad innovare e ad innovarsi,  provando nuove strade ma rimanendo comunque fedele all’identità del gruppo che si sente soprattutto nella prima parte del disco dove il rock suona duro e puro.  

C’è da dire, però, che c’è un abuso di ballate e di power ballad, prima con Alright e Seven o’clock e ancora con Buckle Up, Comes Then Goes e Retrograde.

Insomma, ben cinque canzoni lente e riflessive in un disco di dodici brani per poco meno di un’ora sono forse un po’ troppe, ma forse tutto questo – data la situazione odierna – renderà ancora più saggio e giudizioso l’ascoltatore.

Sono passati ormai gli anni in cui Joni Mitchell cantava con tono sorpreso “They paved paradise to put up a parking lot” (hanno asfaltato il paradiso per costruirci un parcheggio).

Oggi siamo arrivati al punto di non ritorno e, forse, ancora una volta sarà il rock’n’roll a darci speranza.

di Damiano Sabuzi Giuliani