Reduci di Sanremo, ascoltare Egosfera di Nicola Denti è il meglio che possiamo fare per espiare le nostre colpe e riequilibrare il nostro karma.
Ormai è sempre più raro trovare dischi di questo livello scritti e suonati nel nostro Paese, ma il fondatore dell’Accademia Musicale di Parma, forse esasperato da una scena musicale che mette al centro sinth (pur magistralmente presenti in questo disco) e autotune, ha deciso di mettere al mondo questo disco di dieci tracce, tutte strumentali, dove le chitarra solista urla e sbraita accompagnata da una solida base che pesca principalmente dal prog al metal.
Il maestro Nicola Denti, ispirato dalla musica di giganti come Steve Vai, Joe Satriani, John Petrucci, Jeff Beck o David Gilmour, sa alla perfezione quando bruciare e quando raffreddare l’ambiente in questo disco complesso e allo stesso tempo magnetico.
Fin dalle prime tracce – Day One, Distorted Reality, The Project – riesce ad innescare una miccia esplosiva su tre tipologie di sound differenti tenute insieme da un debole equilibrio che viene spezzato con When All Seems Lost che isola il disco in una ballata malinconica ma che verso la fine – complice un assolo di sinth che apre ad un solo di chitarra di chitarra in tapping – fa presagire una sorta di rinascita.
Escape From Madness, con il suo attacco di metallo pesante e continui cambi di sonorità, chiude la prima parte del disco.
Con By The River sembra di essere teletrasportati in tutt’altro pianeta: chitarra acustiche per un arrangiamento stilizzato che ci trasporta verso ritmi folk e sonorità africane.
Perfetto intermezzo che porta ad All Good Things che prende il via con la voce di un bambino che apre la strada ad un basso funky e distorsioni di chitarre whammy e wha-wha oltre che ad un ottimo assolo di percussioni.
Fin dall’inizio di Awakening invece ci immergiamo in atmosfere psichedeliche di floydiana memoria e, verso la fine, il ritmo si fa più teso, angosciante e claustrofobico. Impressioni che vengono confermate con Brain Charmer.
Chiude il disco The Long Journey, la traccia più lunga in cui, in quasi sette minuti, troviamo continui cambi di atmosfera e stili. Si chiude con un finale dal sapore epico ed evocativo. Quasi a sottintendere all’ascoltatore che il viaggio appena concluso è solo il preludio di un nuovo inizio.
Il disco è un concept album interamente strumentale che utilizza le suggestioni della musica per narrare una storia in parte autobiografica: il viaggio di un personaggio di nome Ekow verso Egosfera.
L’autore mette dentro tutto se stesso e la sapienza ereditata dai grandi artisti internazionali. Con assoli di grande espressività che ricordano, in alcuni casi, la straordinarietà di Frank Zappa (perido Hot Rats – Sheik Yerbouti). Niente male per questo periodo storico.