Review

|Review| Bugo si racconta nel suo nuovo album “Cristian Bugatti” (Mescal)

A quattro anni da Nessuna scala da salire (Carosello 2016), ultimo album di inediti di Bugo, esce l’omonimo Cristian Bugatti (Mescal 2020), manifesto artistico di vent’anni di carriera trascorsi fra alti e bassi.

Sì, perché Bugo, che dopo Sanremo 2020 ha avuto una botta di popolarità nazionale anche grazie alla lite con l’amico Morgan, pur non essendo proprio un tipo sanremese, non è mai stato veramente “alternativo”, se non, inevitabilmente, a inizio carriera. Infatti i suoi dischi dal 2002 al 2011, ben cinque, sono usciti sotto Universal, una major.

Nulla di male, quando si ha a che fare con un artista che è tutto tranne che di moda, ma che porta ovunque il suo stile inconfondibile fatto di spontaneità, sperimentazione e ironia.

Cristian Bugatti, al netto di qualunque polemica effimera, è un disco bellissimo. La prima cosa che colpisce è la sua orecchiabilità, quasi tutti i pezzi rimangono in testa al primo ascolto.

È pop puro, ma non scontato, finemente arrangiato (la produzione artistica è di Andrea Bonomo e Simone Bertolotti) e dalle liriche fresche e naïve, in netto contrasto con ciò che solitamente viene presentato in prima serata in televisione.

Il primo pezzo, Quando impazzirò, esordisce con “Quando impazzirò / dirò la verità / ad esempio che / che tua madre è Satana”.

Questi versi danno la misura di ciò che ci aspetta nelle successive tracce, nove in tutto: Bugo è sempre diretto, onesto, sincero (che tra l’altro è il titolo del pezzo presentato a Sanremo), ma soprattutto spiazzante.

Chi, se non Bugo, avrebbe potuto iniziare un album accusando la madre dell’interlocutore della canzone di essere Satana? Naturalmente col suo tipico tono scherzoso, quasi caricaturale.

Come mi pare, Che ci vuole (quasi profetica, ascoltatela per credere) e Un alieno, raccontano Bugo meglio di qualunque intervista. Soprattutto Un alieno che, oltretutto, musicalmente e liricamente può essere considerata fra i suoi pezzi più riusciti di sempre.

Questi i versi, situazionistici e avanguardistici, della seconda strofa: “Il clima i buchi l’ozono / il protocollo di Kyoto / dopo i mondiali di nuoto / Battisti e nazi sulla Rai / ascolto il tempo che passa / la luna bianca rimbalza / ci fosse un’altra galassia / magari dove non vai.”

E poi ci sono i ricordi, la nostalgia, la bellezza della vita in provincia narrati in Al paese e Mi manca (in cui duetta con Ermal Meta).

Le sonorità richiamano atmosfere del passato della musica italiana, in particolare dei ritmati anni Ottanta, ma non risultano revivaliste riuscendo a dialogare senza troppi fronzoli con la contemporaneità.

Si avvertono anche influenze piuttosto marcate, come Celentano in Fuori dal mondo e Battisti in Stupido eh?, che risultano omaggi piuttosto che prestiti.  

Bugo, ancora dopo vent’anni di dischi, rimane il degno erede della tradizione cantautorale italiana, quella più pop e baldanzosa, ma anche profonda e passionale (per intenderci, quella di alieni come Rino Gaetano), e quest’album ne è la lampante dimostrazione. 

 

di Malatesta