Iniziò tutto esattamente un anno fa. Quando con Giulia Rivezzi (e sotto lo sguardo sempre attento della nostra direttrice Veronica Boggini) pensammo di fare una playlist dei nostri album preferiti del 2020.
Scegliemmo 20 dischi a testa e un brano per ognuno di loro. L’album dei Fontaines DC aveva conquistato entrambe, così decidemmo di usare un loro secondo pezzo come bonus track.
I nostri lettori sembrarono apprezzare e così l’idea della playlist divenne periodica.
Per tutto il 2021, ad ogni scadenza di trimestre, io e Giulia vi abbiamo fatto ascoltare i nostri pezzi preferiti, in quella che è diventata una vera e propria rubrica. Ed ora è il momento di fare il consuntivo dell’intero anno e trasformare la playlist nel sunto del nostro anno in musica.
Sempre 20 dischi a testa.
Quest’anno con due bonus track, ossia due dischi che compaiono entrambi nelle nostre scelte: “Ira” di Iosonouncane e l’omonimo disco, nato dal progetto di Alessandro Baronciani e Corrado Nuccini, “Quando tutto diventò blu”.
Riprendendo ora l’articolo scritto un anno fa, vedo che avevo chiuso citando i diversi EP che non avevo potuto inserire tra i 20, ma che avevo ascoltato tantissimo. Chiudevo scrivendo: “… ma questa è un’altra storia e probabilmente la racconterò in qualche altra playlist”. E alla fine così è stato.
Ed è per me un grande piacere poter condividere le scelte fatte, ovviamente e semplicemente, tra le cose che più mi è piaciuto ascoltare e senza alcuna pretesa di esaustività.
I 20 dischi del 2021 che ho scelto hanno in realtà una sorta di podio, composto da 5 gradini che hanno pressoché la stessa altezza. Considero questi gli episodi davvero fondamentali del mio anno musicale. I restanti 15 dischi li considererei più o meno tutti a pari merito, perché la nostra non è una classifica, ma una semplice voglia di condivisione della musica che amiamo.
Prima di raccontarvi alcuni perché di questa cinquina, mi fa piacere segnalare, tra le mie scelte, i dischi di tre piccoli/grandi progetti italiani: i siciliani The Shameless (vi avevo raccontato il loro disco di esordio qui); i veneti Mattatoio5 (li trovate anche nella playlist dello scorso aprile) e i calabresi McKenzie (di loro vi abbiamo parlato diverse volte e di poche settimane fa è questa intervista).
Troverete poi qui alcune mie piacevoli recenti scoperte: le giovanissime cantautrici Julien Baker (statunitense) e Girl in Red (norvegese); i bostoniani Dead Poet Society; gli scozzesi Glasvegas (in realtà già attivi dal 2008) e gli svedesi Viagra Boys (che da poco ho iniziato ad apprezzare). E numerose conferme, come i californiani Failure e il supergruppo Big Red Machine, formato da Aaron Dessner dei The National e Justin Vernon, fondatore dei Bon Iver. E poi ancora Idles, God is an Astronaut, Notwist e gli italiani Bachi da pietra che, come al solito, non sbagliano mai un colpo.
Ma veniamo al 5° posto di questa mia specie di podio immaginario, dove c’è una delle band con cui aprivo la nostra prima playlist della rubrica: II dei LNZNDRF (disco autoprodotto), supergruppo composto dai fratelli Scott e Bryan Devendorf (anche lui dei National), Ben Lanz (Beirut e National) e Aaron Arntz (Beirut e Grizzly Bear). Il loro sound ha segnato i miei primi mesi dell’anno e a loro spetta senz’altro un posto d’onore.
Al 4° posto si posiziona invece il mio “disco dell’estate” 2021: Infinite Granite dei californiani Deafheaven, uscito per la Sargent House. Li ho scoperti proprio con questo loro quinto disco che segna una svolta morbida per quella che fino a qualche anno fa era una delle band più acclamate del black metal. Un disco raffinato quello dei Deafheaven, che mette insieme l’energia del metal con sonorità vicine all’indie-pop, allo shoegaze, al post-rock. E di loro naturalmente vi avevo parlato nella mia playlist estiva, nella quale potete trovare un altro loro brano. Qui ho scelto Great Mass Of Color, la canzone che me li ha fatti conoscere e che potrebbe conquistare anche voi, al primo ascolto.
Anche del disco del mio 3°posto vi avevo parlato nella nostra prima playlist del 2021. Perchè As Days Get Dark degli Arab Strap (Rock Action Records) lo porto al mio fianco dal 1° settembre 2020, quando uscì The Turning of Our Bones. Ossia il singolo che ha anticipato l’album del ritorno, dopo ben 15 anni di assenza, del duo scozzese. Un bellissimo regalo, questo ritorno, uno dei più belli degli ultimi anni.
E proprio da queste parti vi ho già parlato di due dischi italiani, anzi di due live: Iosonouncane e Fine Before You Came. E la vetta della mia playlist è loro, probabilmente anche il fatto di averli potuti apprezzare dal vivo. Cosa diventata sempre più rara.
Così il 2° posto lo assegno a Ira di Iosonouncane (Trovarobato, Numero Uno). Un disco difficile, ostico, momumentale. Il disco di un artista che non mi aveva mai convinto, ma su cui mi sono dovuta fortemente ricredere. A partire da quel gioiellino di Novembre, singolo uscito a novembre 2020. Il primo ascolto di Ira l’ho fatto in treno, il giorno della sua uscita, di ritorno dal mio primo viaggio fuori regione dopo un anno e mezzo di chiusura.
Un disco che non aveva niente a che fare con quel singolo precedente e con l’ottimo pop cantautoriale italiano che ci avevo trovato. Un disco lungo, molto lungo. Testi spesso indecifrabili, declamati in molteplici lingue, anche all’interno di uno stesso brano.
Un mondo inventato, ma assolutamente non a caso. Jacopo Incani, con questo disco, non solo impone la sua maturità artistica, ma realizza un prodotto che nessun artista italiano aveva avuto il coraggio di fare. Padronanza tecnica, narrativa, giusto bilanciamento tra hype e qualità artistica. Coscienza del rischio, premiata da un consenso pressoché unanime di critica e pubblico.
Del mio 1° posto assegnato a Forme complesse dei Fine Before You Came (Legno), cos’altro vi devo dire?? Allargo le braccia. Ossia vi invito a non avere pregiudizi, a non dare nulla per scontato. Anche nell’ascolto di un disco. Perché qualcosa che vi sembra difficile potrebbe andare ad accompagnare il vostro quotidiano. Qualcosa che vi sembra lontana dai vostri gusti potrebbe stupirvi ed entrare nella vostra testa con grande facilità. Qualcosa che associate ad un tipo di musica, o di “scena” non proprio a voi congeniale, potrebbe essere in realtà in perfetto accordo col vostro sentire. Qualcosa che pensate potrà farvi male, potrebbe trasformarsi nella vostra salvezza.
… e ora tocca a Giulia!
Il 2021 ci ha regalato sorprendentemente un anno molto prolifico e molto valido dal punto di vista musicale innanzitutto per i progetti italiani e, anche se a mio parere in misura minore rispetto al solito, stranieri.
Riguardo al fronte italiano, NOI,LORO,GLI ALTRI di Marracash è una storia meravigliosa con testi e talvolta anche beat cattivi, ben scritto ed efficace nella resa. Bello il feat con Blanco, un po’ meno quello con Calcutta, notevole il pezzo Dubbi. È un album che va a crescere e ad ingigantirsi notevolmente nella sua ultima parte, spezzato da “skit” molto interessanti che ne spiegano l’essenza:
“…nella vita mi è successo di essere sia noi, che loro, che gli altri. Noi siamo qui a fare quello che ci piace, Loro sono là fuori che criticano e tutti gli Altri sono intorno che tirano avanti. Potessi scegliere, scelgo centomila volte noi. Ma è un attimo che ti ritrovi in mezzo a loro o che finisci male come tutti gli Altri.”
Tra le cose molto interessanti da ascoltare di quest’anno ci sono anche le rivelazioni di Marco Castello, BLUEM e Quando tutto diventò blu.
Il primo, con Contenta tu, da molti paragonato a Battisti e per l’altra metà a Mac De Marco, ci fa vivere un album divertente di respiro internazionale, italiano e persino siciliano, quasi come fossero tutte e tre le sue origini.
BLUEM invece, realizza NOTTE, con sette tracce che si intitolano come i giorni della settimana, che inquadrano stati d’animo differenti tra beat elettronici e suoni latini.
Il terzo della lista richiama il fumetto omonimo di Alessandro Baronciani, inciso con Her Skin, Ilariuni dei Gomma, Verano ed altri ospiti che hanno accompagnato il tour dal vivo.
Il tema, ad alcuni di noi familiare, è quello degli attacchi di panico e, rappresentato artisticamente, raggiunge dei picchi di intensità tali da fare venire i brividi. La solitudine, la desolazione, il “profondo del mare” e lo smarrimento di “Canzone della spiaggia” si sentono sulla pelle.
La playlist scorre veloce con l’album più pop di tutti, (e allo stesso tempo più tagliente) Bingo, di Margherita Vicario, la reginetta del sarcasmo e bisogna dire anche di un live molto coinvolgente. Orango Tango, oltre ad essere diventata una hit da ascoltare in loop, non ha peli sulla lingua, come il resto dei pezzi.
Il nuovo de La Rappresentante di lista è invece un inno alla resistenza, alla fragilità, alle difficoltà, ai sentimenti e alla bellezza, con una piccola sorpresa: Fragile mette in gioco la voce di Dario e al primo ascolto ci fa sorridere.
E poi arriva un punto in cui è come se sentissimo il dolore dei giorni che stiamo vivendo “..Oggi si crolla, crollano anche le stelle..” ma anche un invito a resistere “..Voglio provare ad esistere, la mia natura è resistere”.
Altro gioiellino musicale italiano del 2021 è Alchimia di Ainè, con un’anima soul e hip hop e delle super collaborazioni quali Davide Shorty, Serena Brancale, Clementino e altri. Intimo, puro, per pochi, bellissimo: da ascoltare.
L’album di debutto del già noto produttore discografico MACE, OBE (out of body experience), è un viaggio onirico che vede una collaborazione degli artisti più in “voga” del momento ma dotati di sfumature diverse tra loro: Blanco, Salmo, Madame, Joan Thiele, Rkomi, Venerus, Colapesce, e altri.
Ogni pezzo è raffigurato da un simbolo diverso che cerca di riassumerlo e disegnarlo stimolando l’immaginazione dell’ascoltatore, quest’ultimo mediamente definito “indie” o semplicemente appassionato di bella musica.
La voce calda di Venerus è una delle più emozionanti e va quasi a completare il percorso condotto quest’anno dall’artista: Magica Musica è il mio album dell’anno ed è complementare ad OBE.
Anche qui la presenza di MACE e di altre collaborazioni (troviamo anche i Calibro 35) impreziosiscono un gioiello che ascoltato su dispositivo e dal vivo fa sognare.
Venerus suona con band affollata, sa come muoversi sul palco e ci fa sentire l’intensità dei suoi brani e di quello che a volte vive l’artista:
“… E di notte mi sentono urlare perché ho scritto una nuova canzone, le mie dita camminan da sole, la mia voce comincia a far male..”.
Infine IRA di Iosonouncane è un “viaggio” molto diverso da qualsiasi altro suo progetto, unico, che non può essere descritto ma che deve essere solo invitato ad ascoltare prendendosi del tempo ed isolandosi in un luogo magico, per fluttuare tra le varie sonorità e linguaggi di Jacopo Incani.
Sul fronte dei dischi stranieri anche quest’anno ascoltiamo volentieri delle rivelazioni e dei nomi consolidati.
La giovanissima Arlo Parks, con il suo primo album Collapsed in Sunbeams è una delle prime rivelazioni internazionali di questo 2021. Una personalità discreta e a tratti timida che però incide con la sua voce potente e che ci ricorda qualche sprazzo di anni ’90 e temi sensibili semi-adolescenziali.
Di tutt’altro universo musicale il duo tutto al femminile, le Wet Leg, con il loro EP Too Late Now/ Oh no (album in uscita il prossimo 8 aprile) che preannunciano il loro immediato futuro con dei pezzi che vanno sulla scia del pop/indie rock e che (senti Wet dream o Chaise Longue) rimangono in testa tutto il giorno.
Dopo il ritorno sui palchi dopo più di dieci anni e un album di cui in molti avevano timore, ma che si è dimostrato una conferma della loro semplicità e allo stesso tempo complessità musicale, i Kings of Convenience con Peace or Love sono tornati a regalarci quello di cui eravamo ormai nostalgici.
La bellezza continua poi con la voce secca e le chitarre insistenti di New Long Leg dei Dry Cleaning, con il nuovo album di James Blake che ha bisogno di poche presentazioni, Cassandra Jenkins e la sua sintonia con natura e cosmo e poi col pop di Billie Eilish con Happier than ever, seppure personalmente meno gradito rispetto al suo debut.
Parlando di intimità a ritmo lento, Puma Blue con il suo primo album In praise of shadows racconta un’intimità soft jazz, r&b e trip hop. Dall’altra parte Lana del Rey, col primo dei suoi due lavori dell’anno, Chemtrails over the country club, offre un pop poetico che racconta di rotture, immobilità/ cambiamento.
Infine, degno di nota e di parole “Sometimes I might be introvert”, consacrazione della giovane rapper Little Simz.
Un disco complesso che presenta un sound variegato, dal rap alla black music, dal jazz agli interludi, dall’afro di Point and kill alla collaborazione con Cleo Sol e molti dei testi “politici”.
Senza dubbio uno dei nomi più caldi di questa playlist che vi offriamo e di quest’anno che aveva il sapore di rinascita, ma ancora una volta è di transizione.
di Loredana Ciliberto e Giulia Rivezzi