Il prolifico trio formatosi a Bologna, attivo dal 2016 e arrivato già al 4° album, si presenta al Monk di Roma per suonare dal vivo l’ultima produzione: “Ghibli”.
Tra le tante note amare del vecchio regime di restrizioni intercorse nel biennio 2020 – 2022 si annovera di certo la cancellazione degli eventi presenziali: eventi sportivi, il teatro, workshop vari, e ovviamente – dato il dominio della webzine ospitante il presente report – la musica dal vivo.
E qui tiro subito una riga di demarcazione. Perché da una parte è presente un pubblico generalista che si lagna di aver perso il proprio biglietto preso 8 mesi prima per andare a vedere i Coldplay, presumibilmente main event in calendario nella non fitta agenda di manifestazioni a cui partecipare. Dall’altra c’è una comunità che gli eventi dal vivo – ecco come si chiamano i Concerti! – li vive con un altro spirito.
Un’ulteriore espressione di questa dicotomia in cui sono ormai sono lanciatissimo come un giovane Keanu Reeves dentro al bus di Speed, è simboleggiata anche da due sistemi di prevendita che si ergono proprio a bandiera dei due movimenti.
Entrambi dal nome inglese, in preda a spirito carbonaro li riporterò con nome italico, in una geniale pantomima SEOproof: I fan dei Coldplay troveranno il loro titolo di accesso sulla piattaforma BigliettoUno; chi invece viene a conoscenza di un concerto minore nel proprio intorno, magari proprio dei Savana Funk, con ragionevole certezza acquisterà una prevendita sull’app Dado.
La prima di queste piattaforme, nella mia personalissima classifica dell’odio, non è seconda nemmeno alla malandrina categoria di quelle persone che ti fanno salire nella loro macchina bianca chiedendoti in cambio una cifra misteriosamente e anche considerevolmente sempre diversa anche a parità di tratta. D’altronde, i due enti appena citati condividono anche una certa aurea di protezionismo, un accesso al servizio da difendere a tutti i costi per mantenere le corpose e insensate marginalità di profitto derivanti dai loro servizi.
Pongo fine a questo delirio ormai dilagante, una digressione in realtà riempitiva, perchè un live report dei Savana Funk è abbastanza insensato da raccontare.
Ai Savana Funk va riconosciuto innanzitutto l’immenso credito di contenere nel proprio nome tutta la loro discografia. Non devi sentire niente, leggi Savana Funk e sai già che suono aspettarti.
Una qualità eccezionale, roba da incensare vaneggiando a Nobel del marketing della musica. Io che per spiegare che lavoro faccio impiego ancora minuti pieni e non vedo mai quella certezza da parte del mio interlocutore di chi ha davvero capito di cosa si stia effettivamente parlando. Un privilegio che spetta a pochi: I gommisti, i calciatori, le baby sitter, i RAMMSTEIN.
Sfido dunque chi si trova qui non perché già conosce la band, ma che legge questo report per curiosità/amicizia, in questo esercizio di aprire il proprio player di streaming, ascoltare un brano a caso dei Savana Funk e riscontrare se il sound che viene fuori dagli speaker non è esattamente quello che si è immaginato.
Poi da qui ne nasce chiaramente un altro discorso, che si ricollega nuovamente al lunghissimo preambolo di cui sopra: quello di suonare dal vivo. Chi non appartiene alla categoria dei fruitori occasionali che manco sa cos’è Dado aveva nostalgia proprio di questo. Di impegnare un giovedì sera uscendo di casa e ritrovarsi in un locale medio/piccolo a gustarsi degli artisti di cui sa poco o pochissimo. Che tra quelle quattro mura ti fanno godere un’esperienza appagante.
Niente esodi o file dalla mattina per assistere a un roboante show pirotecnico di un’ora e mezza: si arriva al locale si prende una birra si gusta il concerto. Senza conoscere una traccia di chi suona, senza l’attesa che arrivi la canzone preferita, ma si gode tutto lo show con il piacere della scoperta.
E il concerto questo è stato, brani introdotti con l’incipit “Questa canzone viene dallo spazio”, persone – indistintamente più o meno fan della band – che dal trio composto da chitarra, basso, e batteria si sono lasciate trasportare.
Aldo, Blake e Youssef grandi interpreti, tecnicamente bravissimi, perfettamente bilanciati nella loro armonia. Pezzi più ritmati, belle schitarrate, assoli, momenti più blues. Un bel concerto e a mezzanotte tutti a casa che il giorno dopo si lavora; chi in smart working chi no.
Qualcosa della pandemia è rimasto, qualcosa del pre-pandemia per fortuna è tornato.
di Alberto Ratto