25.000 gli spettatori registrati all’Ippodromo di Capannelle.
Un nugolo di giovani e giovanissimi, persino bambini accompagnati dai genitori, pullman organizzati dalle regioni limitrofe, ma anche una buona rappresentanza di trentenni incuriositi da quello che sembra essere il fenomeno del momento.
E mi ci metto anche io in quest’ultima categoria, tanta era la curiosità di toccare con mano cosa significasse assistere ad un concerto di questo artista (o di questi artisti?) senza volto e senza storia.
Novella San Tommaso, dunque, mi sono messa in direzione Rock in Roma, per farmi un’idea personale, senza influenze esterne e al netto delle critiche che ho sentito a profusione in questi anni.
L’evento va avanti dal pomeriggio, con l’alternarsi di artisti internazionali e nostrani. MC Bin Laden, Tiger&Woods, K-Conjog, Bawrut, Dengue Dengue Dengue: una selezione varia e di qualità, anche se la maggior parte del pubblico arriva verso sera, determinata ad assistere unicamente allo spettacolo del proprio beniamino.
Una riflessione sulla selezione dei “compagni di line-up” merita di essere fatta: cosa ci ha voluto dire LIBERATO (o chi per lui) con questa selezione?
Sono artisti a cui si ispira? O forse semplicemente voleva dimostrare di riuscire a catalizzare su di sé nomi di un certo livello, come fece nel 2017 al MI AMI?
In ogni caso, io ho apprezzato moltissimo la presenza dei Dengue Dengue Dengue, mostri sacri della cumbia digitale che si sono esibiti in un live immenso.
Inizia così per me una serata che mi ha lasciato più interrogativi che conferme.
Mentre in 25.000, sudati e accalcati, attendiamo l’inizio dello spettacolo, io provo ad immaginare quanto debbano essere tesi i nervi di questa figura misteriosa, ma soprattutto dei responsabili del suo marketing.
La scena romana del resto non è una scena facile, né tantomeno lo è mantenere viva questa allure nel tempo. Gli anni stanno passando in fretta, due per l’esattezza, e anche la voglia di capire chi o cosa ci sia sotto quella felpa svanisce lentamente.
Aggiungiamoci anche inventarsi qualcosa di nuovo sta diventando sempre più difficile e che il pubblico si annoia sempre più velocemente.
E forse è proprio per questo motivo che veniamo accecati, ancora una volta, da un fantasmagorico spettacolo visuale, che crea una scenografica di altissimo livello, oserei dire quasi da vera star internazionale.
L’ingresso di LIBERATO sul palco (ndr, sono in tre: rispettivamente a tastiere, pad e percussioni) è anticipato da una sirena e da un gioco di luci in bianco e nero che torneranno nel corso della serata.
Giochi di luce, dicevamo, ed effetti visual che si avvicendano l’uno dopo l’altro ad ogni brano, fra palle di fuoco, cieli stellati, nebbie e una grande luna piena che fa da scenario per Gaiola, aperto da una personalissima versione di Stand by me.
L’impressione, nel guardarmi intorno, è quella di un pubblico felice di esserci non tanto per quello che sta sentendo, per le vibrazioni che un buon concerto sa regalare, quanto piuttosto per il solo fatto di assistere ad un fenomeno (mediatico).
L’importanza del qui ed ora, del dire “io c’ero” in qualche storia di Instagram, anche se magari le sue canzoni non ti fanno impazzire, anche se poi nella vita di tutti i giorni ascolti altro.
Forse LIBERATO non fa altro che svelare, in modo più aperto ed evidente di altri, certamente più genuino, la nostra tendenza al mostrarsi più che all’essere, l’apparenza sopra la sostanza, la logica spietata del mercato.
Com’è finita, in sintesi? Beh, vorrei dire che è andata esattamente come mi sarei immaginata, ma non è così.
Ho ballato dall’inizio alla fine, ho capito a malapena il 50% delle parole pronunciate e ho maledetto l’autotune, che ancora mi stranisce e non poco.
Sabato 22 giugno 2019: è forse il caso di dire che Roma è Liberata?
No, non direi. Ma nonostante questo ho apprezzato lo spettacolo nel suo complesso, pur avvertendo un sentimento di disagio che a tratti affiorava, ricacciato indietro nel tentativo di capire di più.
Per prendere in prestito le parole di Rumi (sarà che il caldo dà alla testa):
Ben oltre le idee di giusto e sbagliato c’è un campo… E se ogni tanto abbandoniamo il nostro atteggiamento giudicante, che a volte è una vera e propria gabbia dell’intelletto, capita che possiamo anche sorprenderci.