Il celebre Tourcoing Jazz Festival ha concesso l’onore della sua chiusura ai Kokoroko, formazione londinese di otto elementi, che fonde ritmi dell’Africa occidentale con i sussurri e le grida della Londra contemporanea.
Negli ultimi tempi molte delle persone che conosco si sono imbattute in Abusey Junction su YouTube, “inno” dei Kokoroko. Ho collezionato una diversità di reazioni: c’è chi l’ha vissuta come un’invadenza, c’è chi invece ne è rimasto incuriosito. Io faccio parte degli ultimi e, vedendoli in cartellone nel festival, mi sono detta: “Perché no?”. Non so se ci fosse un accordo segreto e malefico tra i Kokoroko e YouTube per cui, alla fine di ogni selezione, autonomamente ti spuntava il loro pezzo. Ad ogni modo i ragazzi sono stati in grado di arrivare a quasi 30 milioni di ascolti.
Abusey Junction è stato selezionato da Gilles Peterson e Shabaka Hutchings per la compilation We Out Here, manifesto delle nuove sonorità del jazz londinese. I Kokoroko ne sono un esempio con il loro “soul shaking” ispirato a Fela Kuti, Ebo Taylor Tony Allen e al sound africano.
Sono capitanati dall’energica trombettista Sheila Maurice-Grey e trasmettono quell’effetto da “sala-prove” che, da una parte, ti mette a tuo agio. Però dall’altra può restituire un piccolo momento di poca professionalità. In soldoni, bisogna essere preparati anche per porsi come dei “tranquilloni” sul palco.
Il Magic Mirror – sorta di gazebo in legno costruito per l’occasione e messo nella piazza centrale di Tourcoing – è pieno, ma fortunatamente ti facilita una visione umana del concerto. Il festival, ormai da 33 anni, porta grandi nomi della scena nazionale e internazionale, ma non disdegna di concedere spazio al nuovo che avanza. E lo fa sia su piccoli che grandi palchi: i luoghi del festival, anche in caso di sold out, sono di grande vivibilità
L’atmosfera londinese, crogiolo di ispirazioni e di creazioni meticce, ha dato vita a questa formazione che ne porta il segno. Quella “spavalderia” artistica che solo metropoli cosmopolite come Londra sanno darti. È una città dove nascono melodie che si sporcano di presente mentre tengono un piede saldo nel passato che le guida.
La musica è trascinante, sebbene il concerto possa essere definito un continuum di assoli che mette a dura prova l’attenzione, spezzando la coralità dell’esibizione. Assoli che però non hanno riguardato basso e chitarra, se non alla fine del concerto, in cui viene loro concesso finalmente un unico momento di gloria. Senza contare che l’altra anima pulsante dei Kokoroko è Oscar Jerome, il chitarrista, non presente nel concerto di sabato scorso. Jerome è colui ad avere dato i natali ad Abusey Junction sul tetto di un edificio in Gambia, quando la band sì trovava lì per comporre.
Entusiasmo e verve non sono mancati, ma continuo comunque tutta la sera a pensare a cosa non mi convinca di questa band. Sono ottimi musicisti, sanno coinvolgere e intrattenere ma manca un filo. Quel filo conduttore che avevo scovato nella collettività sonora di Abusey Junction ma che poi non sono riuscita più a trovare se non in altri due o tre pezzi. Del brano ne ho potuto comunque godere nel finale di concerto, momento per eccellenza dedicato al “tormentone”. Il pezzo che mette sempre d’accordo tutti. D’altronde non ci si può congedare senza prima riappacificarsi col mondo.
di Ilaria Sgrò