Nella splendida cornice dei monti calabresi e vicinissimo a Lamezia Terme, la sua città natale, il Color Fest giunge alla settima edizione, confermandosi uno dei festival di musica italiana più interessanti.
Da tempo ormai, Mirko e il suo staff riescono nell’impresa di valorizzare il nostro Sud, troppo spesso trascurato a livello culturale, attraverso performance musicali ed in generale artistiche.
La location, a Platania, è lontana dalla città, un pò troppo fredda ma bellissima: quello che era un campo di calcio in erbetta della “Giurranda”, ospita tra i boschi e una luna notturna mozzafiato tre palchi di dimensioni diverse, e quello principale porta il nome di Stefano Cuzzocrea, brillante giornalista musicale mancato qualche anno fa.
Tutt’intorno diversi stand, tra cui “Dischi rotti”, “Brewdog”, spazi vintage, di vinili, riviste e merchandise dei gruppi.
In quest’oasi felice, il punto di forza e, allo stesso tempo, la chiave di tutto è la magica varietà, quella che ci aiuta nello sviluppo del pensiero critico e favorisce l’elasticità mentale e l’allargamento di orizzonti, in senso musicale e non.
E la varietà di generi musicali e di stili si evince dalla line-up: dagli I Hate My Village a Franco 126, da Giorgio Canali in apertura a Miss Keta sul finale.
Cogliendo a pieno la bellezza e lo spirito del festival, ciascun’artista e band ci ha tenuto a dire la sua, più o meno ironicamente, più o meno spudoratamente, ed in qualche modo mandando in subbuglio il nostro stomaco.
E qui parte il mio racconto dei momenti salienti, seppur sintetizzato a fatica.
Gli I Hate My Village ci catturano coi loro suoni, la chitarra a la “Bombino”, la maestria e la gioia coinvolgente di Adriano Viterbini; la posa curva ed i tempi perfetti di Rondanini, lo stile retro’ di Marco Fasolo e la carica incontenibile di Alberto Ferrari, che ha una camicia corta, gialla ed hawaiana.
Solitamente fatica a lasciarsi andare come invece stavolta, giocando con microfono e chitarra, talvolta con strane acrobazie e grida confuse a la “Verdena”. Meravigliosi.
“Vinca sempre la nostra voglia di esprimerci, vinca sempre questo corpo”.
La Rappresentante di Lista incanta con una performance teatrale studiata alla perfezione nei minimi dettagli, con abiti ironici e colorati, una voce penetrante e dei suoni a tratti mediterranei, come quando esegue Siamo ospiti, in cui viene sottolineata l’importanza di essere porti aperti e si affronta il tema attuale ed urgente dell’accoglienza.
Uno dei live più importanti, oserei dire.
“La vita è cattiva ma non l’ho inventata io e voi dite: vaffanculo”
Gridano poi a gran voce i Tre Allegri Ragazzi Morti, in un botta e risposta col pubblico che diventa un siparietto divertente che coinvolge e fa voltare anche chi si era allontanato un attimo dalla folla.
Il gruppo riporta ai tempi dell’adolescenza molti dei presenti e, seppur in maniera un po’ fiacca rispetto ad altri live precedenti, riesce ad entusiasmare molte persone, concludendo il live con Bella ciao, come grido di battaglia che conduce ad un coro collettivo.
C’è un sacco di gente, seguita da un sacco di gente, e ogni giorno spunta nuova gente, seguita da un sacco di gente. (..) E poi ogni giorno scopro nuovi dischi bellissimi che non riesco ad approfondire. Ogni giorno spunta nuova gente, seguita da un sacco di gente che ha fatto un nuovo disco bellissimo in cui ha qualcosa da dire più di qualcun altro.
È la volta del delirio pungente di N.a.i.p., acronimo di Nessun Artista In Particolare, nome nuovo nel panorama musicale italiano dalla personalità artistica contraddittoria, che costruisce da solo suoni elettronici, dance e persino psichedelici ed attira il pubblico di qualsiasi età.
Recita sull’ovvietà delle persone, dei discorsi e dei giorni nostri, immersa in un “pacifico inquietante oblio”, di cui siamo tutti protagonisti in maniera più o meno accentuata e che ci sta lentamente divorando.
A conclusione del primo giorno, i Fast Animals and Slow Kids, condotti dal loro capitano Aimone Romizi, ci regalano un’ora di pura energia.
Presentano l’ultimo album, il quale ha ricevuto giudizi non uniformi dalla critica, ma forse tendenzialmente non troppo positivi.
“Questo brano parla di una coppia in cui una persona ama più dell’altra, regà”
Dice ad introduzione di Non potrei mai, da Animali notturni.
Da lì il live si sviluppa in crescendo con un muro di chitarre ed alterna brani più datati come Forse non è la felicità e Calci in faccia, ai nuovi come Novecento e Dritto al cuore.
Aimone gioca a farsi mettere la chitarra in tutti i modi possibili dal backliner, risponde ad una dichiarazione d’amore proveniente dal pubblico con un ironico “Grazie, ce sta!” e a fine concerto scende dal palco e corre verso il bar a prendere uno shot di Amaro Silano.
Non facciamo in tempo a seguirlo, che già torna col microfono in mano. Forse una parentesi costante che si ritrova nei loro concerti, diventata un pò troppo scontata ma che fa sempre sorridere.
“Abbiamo fatto un album pieno di canzoni di merda sperando che piovesse ad ogni concerto e invece c’è sto sole di merda”.
Giorgio Canali suona al tramonto, col sole in faccia e, accompagnato dalla favolosa band Rossofuoco, come al solito non le manda a dire in un live cazzuto, di quelli che piace tanto a noi dall’anima rock.
In un momento storico in cui pare che i gruppi rock italiani siano in decadenza ci ricorda che ancora oggi è possibile sfornare un concept album, come Undici canzoni di merda con la pioggia dentro, che arriva alla pancia delle persone ed è ricco di rabbia e validi contenuti.
“Vaffanculo agli amori felici che uccidono anche il desiderio. Quanto ne vorrei uno.”
“Non ci fosse più la notte, non ci fosse più il male,staremmo meglio? Ma no, dai”.
È facile perdersi nelle parole di Emidio Clementi ed i Massimo Volume, che più di tutti in Italia rappresentano poesia e musica e che forse sono rimasti uno dei pochi gruppi a tentare di introdurre i brani.
Stile inconfondibile, live potente, profondo, riflessivo, criptico e a tratti psichedelico.
Amore, vita quotidiana, prudenza, caso, anima, temi tanto cari a ciascuno di noi, vengono recitati lasciandoci un pò senza fiato a chiederci cosa sia realmente la vita, al di là di ogni superficialità.
Per chi ha visto la serie, è come una puntata di Black Mirror: a distanza di tempo, di giorni, appaiono e scompaiono flashback, in questo caso di parole dette che si mescolano nel cervello.
In mezzo a tutti questi, e non meno importanti, ci sono i live di CLAVDIO, la giovane promessa Claudia, vincitrice di un contest, il rap atipico, tagliente e senza macchine, donne e tatuaggi di Murubutu, l’indie pop -stavolta senza-auto-tune- di Franco 126.
E poi ancora, la spensieratezza ed allegria degli Eugenio in via di gioia, lo spazio dedicato a Spaghetti Unplugged, i reading, che accontentano tutti e danno un valore enorme a questi due giorni.
“Se avete qualcosa da dire a qualcuno di importante ditegliela, non fate come ho fatto io che non ho avuto le palle, che mi nascondo, scrivo canzoni e poi le canto”.
Mottasorprende ed ha bella una responsabilità sulle spalle: il Color Fest quest’anno ha come titolo Sei bella davvero, riprendendo il titolo di una sua canzone che parla di una transgender.
Le canzoni, tra il primo ed il secondo album e l’ultimissima di Sanremo Dov’è l’Italia, si intersecano con gli abbracci che dàai componenti della band durante l’esecuzione di quasi ogni pezzo.
Avvisa però: “Non fatemi video mentre rido sennò YouTube ve li annulla”.
Vale la pena di assistere ad un suo concerto anche solo per sentire Roma stasera, una vera e propria bomba di suoni, che lascia a bocca aperta.
“Sono la donna più volgare che conosco”.
I due giorni si chiudono con la Miss Keta, bomba ad orologeria che infiamma il pubblico. In un sound elettronico e martellante, col dj alle spalle e al fianco di Miuccia Panda, conduce uno spettacolo erotico.
Occhiale, volto coperto, gonna e top succinti, bianchi e piumati, intermezzi sensuali, a volte forse eccessivi ma comunque caratterizzanti del personaggio.
Incuriosisce, fa ballare e sballare, probabilmente il miglior modo di chiudere il festival a tarda notte.