Grande successo all’Estragon di Bologna per la prima delle due date italiane di Cat Power con apertura di una promessa emergente italiana, Her Skin, con la quale ho fatto una chiacchierata prima del concerto.
- E’ stato un anno molto intenso: nel giro di qualche mese è uscito il tuo album “Find a place to sleep”, hai vinto il concorso di “Musica da bere”, sei stata inserita nelle line up dei più importanti festival italiani come Home Festival ed Ypsigrock e sei reduce da un lungo tour estivo da poco conclusosi. Poi pochi giorni fa l’annuncio che a marzo volerai ad Austin in Texas per SXSW, che accompagnerai in alcune date Any Other e – dulcis in fundo – l’apertura a Cat Power, all’Estragon e all’Alcatraz di Milano. Un bilancio notevole direi.
- Eh, lo dico anch’io. Poi proprio non me lo aspettavo. Sono contenta!
- Un giorno mi hai confessato, con la purezza che ti contraddistingue, che vedi il bello in tutte le cose e non riesci a farne a meno. In che modo questo tuo modo di essere si riflette sui testi che scrivi e sulla musica che suoni?
- E’ una cosa di me che ho scoperto da poco e non ci ho mai fatto troppo caso. Diciamo che però anche le mie canzoni lo dicono: “in questi giorni mi sembra di non stare concludendo nulla ma va bene comunque”, “ti sei comportato male quindi ti allontano, ma spero comunque che tu sia felice senza di me”, eccetera. E’un po’ il paradosso della malinconia: si è tristi ma con un piccolo sorriso. Ha senso?
- Hai già un’idea di come suonerà il tuo prossimo album?
- Certo! Sarà… diverso, ecco, ma sempre mio. Non posso dire altro però (ride, ndr).
Dopo averle posto queste domande, fa effetto vederla lassù da sola, circondata da luci colorate ed un palco che sembra infinito.
La sua voce delicata introduce la serata e l’atmosfera sognante che ne fa da sottofondo. Her Skin batte il tempo sulla chitarra, ci dice di essere molto emozionata e ironizza sul suo stato d’animo. Durante uno degli intramezzi tra una canzone e un’altra chiede al pubblico: “Come va? Siete tristi abbastanza?”, lasciando intendere quanto i suoi brani siano malinconici ed al contempo dolci.
Poi mezz’ora di pausa ed il locale si riempie sempre di più.
Improvvisamente è buio: sono le 21.45 e Charlyn Marshall, in arte Cat Power, sale sul palco con la sua band. Un vestito nero lungo, una frangia che quasi le copre gli occhi ed un sorriso visibilmente emozionato, un portamento elegante ed un’anima “vagabonda”.
Ed è infatti proprio ‘Wanderer’, a mio parere uno degli album più belli di questo 2018, che vuole presentarci.
La scaletta del concerto alterna brani del suo ultimo lavoro come ‘Woman’, una ‘Me Voy’ da brivido ed il singolo ‘Wanderer’, che probabilmente perde un po’ di spessore perché suonato in versione quasi reggae ed eccessivamente ritmata.
Completamente padrona del palco, Cat Power si sposta da una parte all’altra ondeggiando sulla sua voce, che non ha bisogno di spiegazioni ed è calda come una coperta avvolgente.
Si accende una sigaretta, ci canta ‘Manhattan’, ‘These Days’ di Nico ed una splendida ‘Shivers’ di Rowland S. Howard.
Tutto è molto intimo, compreso il rapporto col pubblico: invita spesso a battere le mani, ringrazia, si inchina e – tra sacro e profano – accende un incenso, giocando con l’effetto cupo provocato dalle luci.
Va via dopo solo un’ora e un quarto, senza concedere il bis, lasciandoci con una frase semplice ma disarmante: “Imparate innanzitutto ad amare voi stessi, poi potrete riuscire ad amare gli altri”. Mi ripeto questa frase finché non vado a dormire, penso alle mie esperienze e a quanto sia veritiero quel che ha detto.
E’ quasi riuscita a farmi dimenticare la delusione per non avermi fatto godere di ‘Sea of love’, ‘The greatest’ e ‘Stay’.
Sarà per la prossima volta, Charlyn.
di Giulia Rivè