Altro giro, altra corsa: oggi si parla del live dei Black Pumas a L’Aéronef di Lille, dove sembra che io abbia messo le tende.
Se hai la fortuna di avere un club nella città in cui vivi che ha una programmazione sempre interessante e variegata, non puoi di certo lasciarti sfuggire l’occasione di andarci. E a volte può significare andarci quasi tutti i giorni, sia per vedere artisti che conosci e sia per scovare nuove sonorità. E così è stato per i Black Pumas, formazione statunitense che a quanto pare è conosciutissima in Francia. O quanto meno a Lille, dato che L’Aéronef era stracolmo, la gente debordava addirittura dal piano superiore e conosceva a menadito tutti i pezzi eseguiti durante la serata. E la differenza si nota anche nella tipologia di pubblico, rispetto ai concerti precedenti (Osees e Altin Gün), sia per età che per attitudine.
Ad aprire le danze ci sono i Night Glitter, band dreamy psychedelic synth-pop – così si definiscono sulla loro pagina Facebook – che da Austin segue i Black Pumas nel loro tour europeo. L’atmosfera è sognante, sembra davvero di essere catapultati in una soffice nuvola, di muoversi nello spazio e in qualche galassia lontana e sconosciuta. La cantante Lou Lou Ghelichkhani sfoggia un francese di un certo livello ed è nota ai più per aver collaborato con i Thievery Corporation (voce e testi).
Dopo una lunga attesa e un richiamo sostenuto da parte del pubblico, finalmente i Black Pumas si mostrano in tutto il loro stile. Che è satinato, soave: sembra quasi innato. Ci sono artisti che hanno una presenza scenica indiscutibile, che trasmettono un’eleganza senza una ragione in particolare. Ce l’hanno e basta, fine della storia.
La loro musica – un soul puntellato di jazz e blues – è romantica e sensuale. Quella che metteresti come sottofondo mentre fai un bagno rilassante. O mentre sei su un comodo divano ad ascoltarla ad occhi chiusi. Forse questo è ciò che farei io perché per me questo genere è difficile da ascoltare in piedi, immobili. E soprattutto con la calca di persone attorno.
Rispetto agli altri live il suono in questo concerto è impeccabile e il gioco di luci e melodie in sincrono esalta e sottolinea la potenza scenica dei Black Pumas. La voce di Eric Burton – il frontman – è vellutata ma incisiva, sa essere delicata e forte al contempo. Ti entra dentro per rimanerci, senza che tu possa accorgertene.
E anche quando interpreta Sugar Man del caro Sixto Rodriguez lo fa come se il brano fosse suo. In una maniera che è stata di gran lunga migliore dell’originale. Parlo di esecuzione dal vivo, in quanto il buon Sixto purtroppo aveva smesso di fare l’artista per così tanto tempo che, quando lo vidi tanti anni fa a Milano, avrei voluto credere che quel tour fosse uno scherzo di cattivo gusto fattogli da qualcuno.
La sinergia tra i membri della band è enorme, giocano tra loro ed eseguono qualsiasi movimento – incluso il cantare e il suonare – come se fosse il più semplice e naturale del mondo. Anche se un essere “normale” faticherebbe non so quanto a prendere certe note sia con la voce che con gli strumenti.
Colors è la canzone scelta per la chiusura prima del tradizionale bis. Le vibrazioni erano palpabili, potevi leggere l’emozione sulla faccia di chiunque. Eric Burton chiude questo piccolo, idillico sipario cantando a cappella con il pubblico. Per poi ritornare per il congedo finale, sempre coinvolgendo i fan e sempre dimostrando un entusiasmo e una passione che spesso si danno per scontati. Sentirli ringraziare di aver superato – si spera – questo lungo periodo lontani dalle scene per via della pandemia ed esserne evidentemente grati non solo non è scontato, ma è anche piacevole se inteso veramente. E questo fa di band come i Black Pumas artisti con quel qualcosa (di umano) in più.
di Ilaria Sgrò