A distanza di una settimana circa dalla fine di quello che è ad oggi uno dei festival musicali più importanti in circolazione, il Primavera Sound 2017, e dopo esserci presi un po’ di tempo per digerire l’esperienza, vogliamo condividere con voi quello che ci è rimasto (ed è tanto!).
Per chi vi scrive, questa edizione 2017 è stata la prima in assoluto, una sorta di consacrazione al culto del Primavera Sound, perciò ci asterremo dal fare qualsiasi confronto con edizioni precedenti.
Quando si tratta di Primavera, l’entusiasmo e la smania di vedere più acts possibili deve fare i conti con la densità del programma (sconfinato) che, dopo averlo consultato più e più volte, ti costringe a raggiungere un compresso tra i concerti assolutamente irrinunciabili e quelli che, purtroppo, con estrema fatica, si dovranno abbandonare già in partenza.
Noi, bisogna ammetterlo, ce la siamo cavata abbastanza bene, e quelle che seguono sono le nostre scelte.
Si comincia il giovedì pomeriggio sotto il caldo sole del Parc del Forum con il concerto di Kevin Morby, ex bassista dei The Woods, che nonostante il look improponibile (completo bianco con enormi iniziali stampate) ci trasporta in un’ora di relax post-folk, intervallato da squarci melodici e lunghi assoli, calandoci nel perfetto mood per dare il via alla tre giorni.
Incuriositi più dall’alone di hype che lo circonda che dal personaggio in sé, restiamo al palco Heineken per lo show di Miguel, produzione e band eccezionali (solo tre elementi) ed un forte carica erotica nel suo esibirsi che sembra però esaltare quasi esclusivamente la folta schiera di millennials accorsi per il suo soul-pop.
Tutt’altra atmosfera respiriamo invece al Pitchfork stage, per l’irresistibile live dei Glass Animals, che accompagnano il calar del sole con i loro suoni art/psichedelic-rock super catchy. Le scoordinate mosse di danza dell’allampanato Dave Bayley riescono a trascinare un pubblico entusiasta, sotto la luce di una palla a specchi con le sembianze di (!) un’ananas gigante.
Ahimè, per via delle grandi distanze fra i palchi e della schedule che non perdona, riusciamo a vedere solo qualche minuto dello spettacolo della talentuosa Solange (per tantissimi uno dei migliori show di questa edizione) che raccoglie il primo vero bagno di folla del festival, illuminando il palco Mango con la sua presenza ipnotica ed elegante, morbidi suoni soul e una scenografia minimale dai magnifici colori pastello.
Ma il vero highlight della prima serata (per noi dell’intero festival) è certamente quello che ci regala Justin Vernon con il suo progetto Bon Iver. Suoni oltre la perfezione nonostante i volumi altissimi e un sistema di subwoofer che fa letteralmente vibrare corpi e anime di chi è presente a questa sorta di rito, in cui il vocoder riempie tutta la gamma di suoni possibili, valorizzando in particolar modo le canzoni dell’ultimo, discusso, 22, a million. La chiusura con Skinny Love cantata dal solo Vernon accompagnato dalla sua immancabile chitarra vintage è da lasciare senza parole e, infatti, il silenzio del pubblico è religioso, così come la pelle d’oca sulle braccia di molti è evidente.
Aphex Twin segue dopo poco, ma il suo eccesso di sperimentazione pioneristica mista alla densità della giornata giunta quasi al termine, ci fanno desistere dopo pochi minuti e spostare dall’altra parte del Parc per il trascinante live di quegli scoppiati dei King Gizzard and the Lizard Wizard, per un po’ di sano pogo.
Il secondo giorno comincia con una caña allo spazio inaugurato quest’anno e dedicato esclusivamente ai suoni elettronici, il Primavera Bits, direttamente sulla spiaggia.
Resteremo poco perché già alle 18 c’è l’imperdibile live dei The Radio Dept. in quella che è una delle altre novità di quest’anno, l’Heineken Hidden stage, per il quale bisogna accreditarsi (gli altri) o fare un sacco di fila (noi). Attesa ripagata da uno show dai caldi suoni elettronici che ci ha messo subito nel giusto mood. Bravi.
Poco dopo è il momento del black pop di Sampha, nello stage più bello del festival, il Ray Ban. Tantissima l’attesa per il debutto del suo “Process”, dove elettronica, neo soul e hip hop si bilanciano perfettamente, Sampha fa scatenare il pubblico dell’anfiteatro e in particolar modo il suo batterista che a fine show sfascia la batteria.
Tutt’altre sonorità per William Tyler (altra scoperta del nostro Primavera) al Pitchfork, che ci consente di riprendere fiato con le sue delicate melodie strumentali e gli infiniti intrecci di chitarre, che ben si sposano con l’ora del tramonto infuocato di Barcellona.
E’ il momento di Mac de Marco, che vediamo però solo alla fine e da lontano sui grandi megaschermi, dove più che altro saltano agli occhi i vari atti esibizionistici/trasgressivi dell’artista e la nudità totale del batterista.
Delusione invece, ci tocca ammetterlo, per lo show dei The XX: sarà colpa dei problemi tecnici al suono, della pessima riuscita della maggior parte delle canzoni rispetto alle versioni in studio o della totale assenza di presenza scenica e interazione con il pubblico del duo Romy/Oliver, ma le uniche parti che si salvano sono quelle in cui – finalmente – prende il comando Jamie XX, che con le sue deviazioni elettroniche un po’ riesce a risollevare il nostro umore (questo discorso ovviamente non vale per le decine di migliaia di fan entusiasti che hanno cantato le lyrics dall’inizio alla fine).
Meno male che a seguire ci sono i devastanti Run The Jewels, che, superato qualche problema tecnico di troppo, riescono comunque a spaccare, fra beat potentissimi e canzoni provocatorie con continui ed espliciti riferimenti agli USA dell’era Trump.
Una piccola sosta per sfruttare l’open bar del palco Backstage e sentirci velocemente il live dei The Wedding Present e il djset di Kelly Lee Owens (bomba), fino al momento del clamoroso show di Flying Lotus che con il suo mix di visual e sound catapulta il pubblico in un’esperienza lisergica collettiva, che completa un secondo giorno comunque strepitoso in cui però si è sentita l’assenza ingombrante (e ingiustificata?) di Frank Ocean (prontamente sostituito da un folta schiera di magliette a logo “Prank Ocean” o “Fuck Ocean”).
Siamo purtroppo già arrivati al terzo giorno, ma il morale è comunque alto, consapevoli che ci aspettano i grandi nomi.
Van Morrison al tramonto, c’è da aggiungere altro? Beh, forse solo che quando partono Brown Eyed Girl e Gloria il pubblico letteralmente impazzisce di fronte ad una delle leggende più trascinanti in circolazione.
A poca distanza i Metronomy fanno lo show della vita, presenza impeccabile, suoni perfetti e una capacità di emozionare con il loro mix esplosivo di melodie elaborate ma coinvolgenti e basi elettro/pop che trasformano il palco Mango in un dancefloor. Strepitosi.
Al sabato la gente è veramente tantissima, tanto che ci tocca riservarci un posto privilegiato per agli Arcade Fire ben un’ora e mezza prima, rinunciando così allo spettacolo di Grace Jones, (probabilmente il nostro più grande rimpianto), vista la portata di quello che riusciamo ad intravedere dai megaschermi, veramente pazzesca.
La rinuncia è però ampiamente ripagata dall’esperienza che gli Arcade Fire riescono a produrre con uno show al Primavera Sound di quasi due ore e in cui dimostrano ancora una volta di essere probabilmente la più grande macchina da live del pianeta.
Nuove hit, fra cui il new-classic Everything now, sono intermezzate da successi pescati da praticamente tutti gli album. Addirittura si comincia (!) con Wake up e i cori che riempiono il cielo di Barcellona. Win e Regina sono in forma strepitosa e lo spettacolo si conclude con un visual in cui un incendio (immaginario) dà il via ad una specie di esplosione di fumo (vero) che inonda e nasconde per qualche minuto tutto il palco alla vista, lasciando solo la musica a riempire l’aria. Assoluti.
Dopo gli Arcade Fire, stremati, ci vorremmo dirigere verso il palco in cui stanno suonando i Japandroids, ma un alert sull’app (rivedibile!) del festival ci comunica che ci sarà una sorpresa al palco Ray Ban. E così è: le Haim si paventano davanti ad un anfiteatro gremito con uno show coinvolgente che per noi rappresenta un’ottima chiusura del festival e della vacanza.
Nient’altro da aggiungere…
Ci rivediamo l’anno prossimo!