«Ho intitolato quest’album < dice Feist > Pleasure, come se stessi piantando un seme o volessi profetizzare un’ondata di energia. L’esperienza del piacere può essere debole o profonda. A volte è temporanea, a volte è scarsamente duratura.
Di solito è uno stimolo».
Lei è Leslie Feist, cantautrice canadese classe ’76, al suo quinto lavoro in studio.
Feist, già membro del gruppo indie rock Broken Social Scene, aveva già dimostrato di saper essere espressiva e catartica spaziando tra i generi più svariati.
Folk, indie pop e il rock, ma con il suo Pleasure si afferma definitivamente e mette il punto.
Si potrebbe dire che questo disco rappresenti una sorta di rottura: non con i generi precedenti, ma con una parte del suo trascorso artistico forse si.
Dimenticatevi le hit “1234” e “Feel It All”, perché qui non troverete ritornelli spensierati e melodici da canticchiare distrattamente.
Pleasure, infatti, arriva dopo un periodo di depressione dell’artista (tema abbondantemente approfondito 6 anni fa in Metals) ma anche di maturazione, elaborazione del dolore e presa di coscienza.
Il piacere davanti a cui ci troviamo è stato un presente/assente nel passato e una costante ricerca nel presente, per lei come per ogni altro essere umano.
Una sorta di ritrovata speranza, un seme da piantare, appunto.
E per fare questo, ancora una volta si è affidata a due fidati collaboratori: Dominic “Mocky” Salole e Renaud LeTang
Le sonorità che si ascoltano sono crude, spoglie di qualsiasi leziosità, con arrangiamenti scarni, quasi a voler creare un’atmosfera da chiacchierata al bancone di un pub semi vuoto alle 3 del mattino.
Anche il fruscio di sottofondo, il noise in tutta la sua imperfezione, viene reso strumento ed è parte fondamentale ed attiva del disco per tutta la durata.
Queste premesse, però, rendono questo tutto fuorchè piatto o asettico, bensì dinamico, energico, pieno di sangue e sudore.
Ci troviamo, infatti, davanti ad un insieme di brani dalla forte e chiara impronta ritmica, che richiama alla mente una sensualità allo stesso tempo moderna e primitiva, dove danzano richiami folk, rock e blues in testi quasi sputati alla PJ Harvey.
Sono i testi infatti i protagonisti assoluti, sempre enigmatici come tipico di Feist, ed offrono una molteplicità di interpretazioni che sembrano calzare in maniera perfetta per chiunque di noi in almeno un’occasione.
Pleasure.
La title track, ha un’apertura oscura, cupa, per giungere ad un culmine ritmico più deciso sul finale, che ricorda lo sfogo di qualcuno che, in preda ai deliri dell’alcol, decanta il piacere. Questa, insieme ad Any Party, sono le “ballate” del disco, ma mentre la prima è appunto più riflessiva e ossessiva, la seconda rivela un sentimento nostalgico e romantico, ed un’anima più rock.
E’ la cronistoria di una serata come tante, che qualsiasi donna potrebbe aver vissuto, o potrebbe raccontare, passata sulla giostra viziosa che può diventare l’amore per qualcuno che con te vuole solo giocare: “I’m getting tired of these clowns and balloons”.
La sensazione di stare ascoltando l’audiolibro di un diario prosegue con Lost Dreams, che con le sue sfaccettature tra il dream pop e il rock e la chitarra distorta che fa capolino a metà del brano, o con Get not High, Get not Low, che descrive perfettamente l’altalena di emozioni estreme di chi si ritrova a vivere un periodo turbolento, senza saper dare un nome a ciò che sta provando : “I was living in extremes, end everything that that means”
La traccia più potente e d’impatto è invece Century , nella quale, sorpresa sorpresa, troviamo lo zampino (e si sente) di Jarvis Cocker (Pulp), che recita un vero e proprio monologo scritto a quattro mani, anticipando una chiusura secca, con un fade out totalmente inesistente, tanto da farmi correre a controllare se fosse tutto a posto con la riproduzione.
Una scelta fatta, forse, a richiamo del tema del brano, cioè la diversa percezione del tempo che si ha a seconda di quello che si sta vivendo, ed insieme la sensazione di vuoto, di risveglio, che accompagna il momento in cui si realizza che il tempo è passato.
Il tema del tempo che passa è affrontato di nuovo in Young Up: superata la soglia dei 40, Feist ci racconta di un invecchiare sereno, senza troppe malinconie.
Quello che doveva succedere è successo e così sarà nel futuro, che se ti senti stanco o vecchio stai sereno, lo eri già anni fa, e forse non te ne eri nemmeno accorto, perciò “sii giovane”.
Le tracce, una dopo l’altra, sono un vero e proprio excursus su momenti ed episodi passati e presenti, che raccontano consapevolmentele fasi della vita di un essere umano, il quale dopo averne passate di belle ma soprattutto di brutte, con tutti gli stati d’animo che ne conseguono, si dice: “ok, sono una persona a pezzi, e molti di questi pezzi li ho fatti io con le mie mani, seppur con l’aiuto di qualcun altro; ora, posso star qui a fissare i cocci di me stessa, oppure posso analizzarli, capire come mai uno si è rotto in un modo piuttosto che in un altro, piangerci un po’ su, ma provare a capire come rimetterli insieme, per tentativi.”
Quindi, se cercate un disco di facile ascolto, insomma che va via “liscio” traccia dopo traccia, cambiate disco e Pleasure di Feist tenetevelo per un momento in cui avrete la pazienza e la voglia di ascoltare con attenzione, perché non è nell’immediatezza la sua forza.