Abbiamo scelto come personaggio del mese Steven Patrick Morrissey.
Morrissey è tornato con il singolo “Spent the day in bed”, un brano che richiede un’esegesi come dovere morale.
L’ex leader e frontman dei The Smiths è spesso al centro dell’attualità per le sue opinioni politiche, sociali e culinarie.
In realtà non ci importa molto di questo aspetto morboso e mediatico, almeno dal punto di vista del clamore che suscitano le sue dichiarazioni.
Morrissey semplicemente, come lui stesso ha più volte sostenuto, si pone contro le barbarie.
Il punto di rottura dell’opinione pubblica spesso risiede nel rumore delle sue affilate affermazioni, come un vento che sferza gli abiti borghesi di un salotto di Dorian Gray.
“Spent the day in bed” aderisce al carisma e al pensiero di SPM.
Introdotta da un piano elettrico che disegna un arpeggio spastico, capace di trasmettere sotto pelle il senso di distanza e diversità pur essendo assolutamente vivi nell’oggi.
Morrissey canta con orgoglio e fierezza l’esperienza di aver passato un intero giorno a letto.
Una pratica dalla società identificata con bamboccioni e scansafatiche che lui rovescia ed esplora, senza vergogna del nulla compiuto.
Narra della magra consolazione della legalità, accompagnata da pillole che diventano cuscini, metafora del dovervi ricorrere per mancanza di tempo in cui prendersi cura di sé.
L’ attacco ai media ed alla notizia ad ogni costo, strumentalmente diffusa per spaventare, per distruggere l’essere umano.
Morrissey ammonisce: cercano di farti sentire piccolo e solo, di dirti che la tua mente, il tuo pensiero non sono veramente tuoi.
Non è una rivendicazione di possesso, ma la denuncia dell’emarginazione del pensiero autonomo, del rifiuto del “to ape“, del timore del mostrarsi.
Una logica del terrore senza sangue e vittime, ma con morti senza necrologio.
Nella terza strofa, dopo l’elegante arroganza tipica del Moz, arriva la carezza gelata.
“Life ends in death
So, there’s nothing wrong with
Being good to yourself
Be good to yourself for once”
Caustico annuncia la morte come inevitabile, unica ed ultima certezza della vita, e come novello Cristo perdona, non c’è nulla di male a sentirsi bene con se stessi, fallo per una volta.
Un invito responsabilizzante e che togli l’alibi del dover essere e del dover fare in nome del potere e non della logica naturale.
L’invocazione “time do as I wish“, come quella sulla Croce “Eloì, Eloì, lemà sabactàni?“. Lo stesso pathos nel chiedere di manovrare il tempo secondo l’interno volere.
Nel finale, con un linguaggio diretto lascia la sua conclusione: 24 ore nel letto liberano dal capo, dalla pioggia e dai treni, nessuna evirazione nessuna castrazione.
Rumori che restano nella mente per ore dopo aver spento le luci dell’ufficio.
Una frecciata al mondo degli aziendalisti indirettamente definiti privi di apparato riproduttivo, l’offesa più grande per maschi in carriera.
Morrissey ha sempre cantato al limite dell’elegia e del noir, riuscendo sempre ad adagiare una rosa nelle tenebre.
Dal punto di vista della cifra artistica, ben nota, e senza voler risultare pleonastici, regala una lezione di scrittura pop rock.
Il mezzo della melodia semplice e di massa coniugato con un alto contenuto lirico.
Quella che dovrebbe essere la sfida di molti ma spesso rimane inosservata, nella cecità delle anime e nella frenesia delle chart.
Steven le domina ugualmente.
E’ la risposta a tutte quelle volte in cui si guarda alla musica del passato nel vuoto del contemporaneo.
Adesso sapete cosa ascoltare se volete nutrirvi.
In “Asleep” ripeteva “cantami per svegliarmi, cantami per svegliarmi”.
E’ questo che la musica deve fare, svegliare, scuotere, rendere indipendenti.
Il professor Morrissey ce l’ha ricordato e la nostra Adele Bilotta, oggi al debutto sulle nostre pagine, l’ha illustrato.
Ultima annotazione per la sublime teatralità del videoclip, un Moz bloccato sulla sedia a rotelle che esaspera la costrizione con pochi movimenti sottolineati con immobile tensione.
E la band intorno a non lasciarlo solo nell’imminente ribellione trasmessa e concretizzata nell’esibizione dal vivo.
Nota a margine, Joey Barton sicuramente meglio come attore che come calciatore.