É vero, se n’è già parlato tanto dei Nu Genea, perché per Casa Suonatori Indipendenti “so’ ‘nu piezz’ ‘e core”. Però non potevo di certo perdermi l’occasione di godermeli a due passi da casa, nella caotica e variopinta Parigi, in una cornice che rende un’occasione speciale davvero unica: la piramide del museo del Louvre.
Dire che i Nu Genea siano stati una delle migliori rivelazioni della musica italiana degli ultimi anni è lapalissiano. Se non altro per la commistione di suoni, lingue e background che propongono. Dopo Parigi sarebbe ideale ascoltarli a Napoli o in un’altra città del Nord Africa, così da completare il quadro offerto dalla loro musica ricca di molteplici contaminazioni. Già l’estate scorsa la band partenopea si era fatta conoscere dal pubblico parigino. Ma quest’anno ha l’onorifico compito di chiudere un piccolo ma altresì importante festival (Étés du Louvre), portando alta la bandiera di Napoli e della Mediterraneità a braccetto con la mostra “Napoli a Parigi. Il Louvre invita il Museo di Capodimonte“.
Il cielo parigino ci regala un tramonto mozzafiato, di un rosa screziato di arancione, mentre una nutrita e scomposta fila di gente si accinge ad entrare dentro il museo. Il palco è allestito esattamente sotto la famosa piramide, per cui per tutto il concerto avremo un tetto di vetro, delle immagini di notissimi monumenti che ti ricordano esattamente dove sei in quel momento e un caldo micidiale.
E mentre cercavo un posto per poter scattare qualche foto decente (missione decisamente fallita), tutti i componenti della famiglia allargata dei Nu Genea si allineano sul palco con una certa familiarità, quasi si sentissero a casa propria.
Al centro, come una regina, Fabiana Martone si impone sul palco con una scala di colori che vanno dal giallo all'”azzurro Napoli”. E per non essere da meno a tutti i loro conterranei, anche i Nu Genea omaggiano la vittoria dello scudetto da parte del Napoli facendo indossare alla cantante un mantello con al centro lo stemma della squadra di calcio.
Fabiana Martone si muove con eleganza, sicura di sé, dispensa sorrisi e incanta con una voce che spazia su diversi livelli senza perdere un colpo. La cantante intrattiene il pubblico come una vera padrona di casa del sud e gioca con Massimo Di Lena con improbabili traduzioni dall’inglese al francese.
Con Marechià, a sorpresa quasi all’inizio del concerto, un’altra splendida voce calca il palcoscenico, ovvero quella di Célia Kameni. Il pezzo sembra quasi essere il simbolo in quel momento dell’unione di due popoli e due culture diverse. Che dalla canzone al concerto si trovano effettivamente a ballare e cantare insieme, uniti nel segno della musica.
Ed è solo un piacere ascoltare la cantante francese di origini camerunesi passare con naturalezza da un perfetto francese a un altrettanto perfetto dialetto napoletano.
Cosa che, ovviamente con meno grazia e professionalità, vedo fare al pubblico francofono. Vuoi mettere, però, l’emozione di sentire, anche se per poco, il napoletano come lingua ufficiale della serata in uno dei templi della cultura francese per eccellenza? Non oso immaginare la soddisfazione dei musicisti a riguardo, oltre al vanto di aver portato la propria musica in luogo che da sempre celebra (evito di proposito di usare un altro verbo) lo splendore artistico di altre culture provenienti da ogni angolo del pianeta.
Quando l’atmosfera all’interno della piramide è partecipata e umida al punto giusto, Fabiana Martone cerca di porre i riflettori – anche se letteralmente non ci riesce – su Lucio Aquilina, più riservato ma altrettanto meritevole del suo momento di gloria.
Nella serata si alternano brani sia di Nuova Napoli (d’altronde, anche se sotto il nome di Nu Guinea, è sempre farina del loro sacco) che di Bar Mediterraneo, nonostante quest’ultimo abbia decisamente la maggiore. La musica dei Nu Genea (ma anche dei Nu Guinea) è una dimostrazione di quel crocevia di culture che è stato – e continua ad essere – il capoluogo partenopeo. Una città che, come tante, deve molto al suo bel Mediterraneo. Che è un luogo dove si suona una sola musica, calda, popolare, che accomuna tutti. Il Mediterraneo è questo, sa abbracciare tutte le culture senza distinzione di latitudine, lingua, colore della pelle. È un padre che ama i suoi figli e che accoglie tutti senza discriminazione. Esattamente come fa un bar.
di Ilaria Sgrò