Settimo episodio
Ho sedici anni e sono un rocker
Ho sedici anni e sono un rocker. Finalmente. A scuola mi vedono ancora come uno sfigato, ma io, a differenza di tutti, ho una band con cui ho già fatto un concerto mezzo-disastro che rimarrà nella storia degli aneddoti ascrivibili alla sfera di Satana dell’oratorio in cui, senza alcun valido motivo, abbiamo trasferito i nostri sogni di gloria in formato-amplificatore “spacca-culi”.
Non potrei essere più felice. O meglio, lo sarei se in questo momento mi cadesse dal cielo un bassista, di cui iniziamo seriamente a sentire la mancanza, e non sarebbe male nemmeno una ragazza, ma so bene di essere un tipo timido e difficile. Sarà per questo che la mia vita è ormai scandita da sessioni di scrittura forsennata di canzoni e immersioni totali nelle discografie e iconografie di Nirvana, Soundgarden, Sonic Youth, Smashing Pumpkins, Kyuss, Queens of The Stone Age, Stooges, Marlene Kuntz…
La mia collezione di cd masterizzati da Ted e regalati da Lori cresce a dismisura e i miei quaderni si inzuppano di parole che fino a qualche mese fa non avrei mai creduto di saper dire. Concentro tutto il mio malessere in questa forma di sublimazione artistica che mi depura dandomi al contempo un’identità. La mia mutazione in rocker a tutti gli effetti è avvenuta in pochissimo tempo, e da una parte mi sento come se lo fossi sempre stato, dall’altra so di aver ceduto a qualche compromesso pur di abbandonare il mio vecchio e insulso me.
Mi sono tuffato in un’esperienza creativa totale con tutto l’entusiasmo che ho in corpo, lasciando piena libertà d’espressione ai miei compagni d’avventura, senza i quali non avrei combinato nulla. È per questo che ne è venuta fuori una band rarissima e meravigliosa, soprattutto se considerate il livello attuale delle band della nostra provincia, ma è anche proprio per questo che so che essa non mi rispecchia totalmente. Non mi sto contraddicendo, o forse sì: sono finalmente io, ma non del tutto.
La mia anima pop-grunge, infatti, se la deve sempre vedere con l’anima hard rock-metal di Luis, matrimonio musicale permesso in primis dalla nostra grande amicizia. Su questa musica degna di Frankenstein ci metto poi le mie parole. La combo è micidiale: chitarre distorte ed effettate, urla demoniache alternate a sprazzi di melodie quasi orecchiabili, dolore a vagonate, assoli interminabili, strutture complesse – introdotte quasi sempre da Luis per appagare quella sete di virtuosismo che a me non appartiene – totalmente ingiustificate ma spontanee e convincenti. Per molti siamo una rivelazione.
Ma sono andato un po’ troppo avanti, perché tutto questo diviene possibile solo quando incappiamo in Drieu, bassista fanatico come me dei Nirvana ma al contempo inspiegabilmente attratto da culture hip hop, crossover e di metal estremo. È un quindicenne folle, bocciato in seconda media e probabilmente mai ripresosi, che viene a sapere della nostra esistenza e si presenta un giorno in sala prove con la camicia di flanella: “Ciao, sono Drieu, suono il basso e cerco una band”.
Per me è amore a prima vista, ma quando prende in mano lo strumento rimaniamo tutti senza parole. È un fenomeno, un cazzo di genio! Fa cose difficili con estrema facilità senza però risultare inutilmente sborone. Nel giro di pochi minuti entra a far parte della band e a fine prove conosce già tutti i pezzi. Nei suoi occhi leggo da subito una sincera stima nei miei confronti, come songwriter ma anche come persona. Diventiamo grandi amici, anche perché scopriamo di avere un senso dell’umorismo molto simile. Credo che l’amicizia tra cantante/chitarrista e bassista sia una delle cose più sacre che esistano su questa Terra. Non chiedetemi perché, ma è così.
Band al completo possiamo finalmente concretizzare i nostri progetti: continuare a suonare dal vivo, certamente – ci chiamano in posti improponibili: campetti da calcio in cemento, marciapiedi appena fuori dai locali, mega sale concerto deserte, piazze, feste, circoli culturali, scuole –, ma soprattutto realizzare un album, il nostro primo album. Ma come? Soldi non ce ne sono – alla fine con quelli guadagnati lavorando in campagna mi sono preso un amplificatore e una chitarra elettrica nuova, un’edizione limitata a basso costo di una Squier Cyclone blu con battipenna tartarugato bianco, un vero spettacolo. Io e Luis siamo andati apposta in un negozio di strumenti di Milano per prenderla, qua da noi oltre alle corde si trova ben poco – e non conosciamo nessuno che possa venirci incontro. In città ci sono un paio di studi di registrazione, ma se ci presentassimo noi pivelli non ci prenderebbero mai in considerazione se non a fronte di congruo compenso. Decidiamo di fare delle prove con un registratore a cassetta che avevo rubato a mio fratello. Inspiegabilmente, se posizionato nel punto giusto della sala, quello che ne viene fuori non è un’accozzaglia inascoltabile di rumori, ma solo un gran casino in cui ogni tanto si distingue qualche strumento, parola o lamento infernale. È deciso, registreremo così, per forza di cose in presa diretta, fottendocene allegramente della qualità del suono.
di Malatesta