NICO, 1988 è il nuovo lavoro di Susanna Nicchiarelli, con protagonista la grande attrice danese Trine Dyrholm. Vincitrice della sezione Orizzonti alla 74esima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, la regista romana introduce il pubblico alla scoperta dell’altra faccia di Nico, quella da “sacerdotessa delle tenebre”. Prodotto da Vivo Film, Rai Cinema e Tarantula Luxembourg, distribuito da I Wonder Pictures, il film è uscito il 12 ottobre. L’opera si concentra sugli ultimi due anni di vita di Christa Päffgen, in arte Nico.
Susanna Nicchiarelli ama dare descrizioni di un’epoca con i suoi film, come ha fatto con Cosmonauta e La scoperta dell’alba. NICO, 1988 non è il classico biopic, è qualcosa di diverso. Innanzitutto è specifico: non racconta genericamente la vita di Nico, ma in particolare due anni cruciali di questa. Si concentra sulla sua carriera da solista, quando intraprese un tour in giro per l’Europa, in cui fece tappa anche in Italia (a Nettuno per l’esattezza).
La regista è rimasta affascinata dalla forza di questa donna. Una donna impegnata a combattere quell’icona da femme fatale che le venne appioppata ai tempi di Andy Warhol e dei Velvet Underground. Una donna che viene presentata come indistruttibile, per dirla con le parole del figlio Ari, che mostra anche un lato ironico sconosciuto a molti.
Per anni la sua bellezza è ciò che le ha conferito l’ascrizione nel firmamento dei “belli e dannati ” dell’epoca, sebbene Nico facesse fatica a sentirsi felice di questa condizione. “Quando ero bella non ero felice” recita in una parte del film, come se liberarsi dalla sua bellezza esteriore significasse far affiorare il suo vero io. A costo di apparire brutta in termini estetici.
Due sono i temi fondamentali attorno ai quali ruota il lungometraggio: il figlio Ari e la sua vita a Berlino Ovest durante la guerra. Christian Aaron Boulogne (meglio noto come Ari Päffgen) rappresenta il peccato originale, il senso di colpa costante tipico di una madre, qualsiasi sia la sua condizione. Il periodo di riferimento all’interno di NICO, 1988 è misconosciuto, nonostante rispecchi in maniera olistica la sua vera indole artistica.
Nico non amava i continui riferimenti al suo passato con i Velvet Underground e ai suoi rapporti con Jim Morrison e John Cale. Preferiva parlare del suo presente, della musica che componeva, nella quale si riconosceva pienamente. Ha vissuto la povertà e un conflitto mondiale in Germania e questa condizione prorompe prepotentemente nella sua musica. Una musica cupa e forte, dai testi pregni di significato, che grida dolore e consapevolezza. Nel film Trine Dyrholm canta con la sua voce, l’attrice danese ha un passato da cantante, sebbene abbia dovuto lavorare sulla voce, abbassandola di tono.
Brani originali di Nico compongono la colonna sonora del film, riarrangiati per l’occasione dalla band Gatto Ciliegia contro il Grande Freddo, con la quale aveva già collaborato in passato. Nel film ci sono anche due cover, Nature Boy di Nat King Cole e Big in Japan degli Alphaville. La prima scelta per simboleggiare l’amore materno, la seconda perché rappresentativa della generazione anni Ottanta.
Il tocco femminile si vede nella regia, nella costruzione dei personaggi, nella scelta delle inquadrature: ogni singolo elemento è volto all’introspezione, all’attenzione per il particolare. L’empatia creatasi tra le due donne (regista e protagonista) è intensa e tangibile, traspare certamente il grande lavoro compiuto sul personaggio principale e su quelli collaterali. Per la stesura di NICO, 1988 Susanna Nicchiarelli si è basata sulle interviste fatte al figlio e al manager dell’epoca Alan Wise. Un altro importante contributo è dato dai racconti del cantautore Domenico Petrosino, amico della cantante. Attorno a queste dichiarazioni costruisce quella che, a suo parere, poteva essere la vita di quella donna dal fascino indiscutibile. Molti episodi sono veri (come la crisi della cantante per la mancanza di eroina a Praga), altri funzionali: la macchina narrativa non risente della dualità, in quanto realtà e finzione viaggiano parallele senza sembrare troppo distanti.
In NICO, 1988 di tanto in tanto affiorano delle clip d’epoca, estratte dalle riprese originali di Jonas Mekas. Mostrano una Nico e un Andy Warhol sfocati, come una sorta di metafora del tentativo della musicista di cancellare una parte della sua vita che comunque rimane nei suoi ricordi, seppure lontana.
Ari, il suo unico figlio avuto con Alain Delon (mai riconosciuto dall’attore francese ma solo dalla madre di questo), visse con Nico i primi quattro anni della sua vita, poi lei perse la patria potestà per cattiva condotta. Ari tenterà spesso il suicidio, Nico pare non abbia mai smesso di pensare a lui (lo sostiene il manager). Dedicati a lui sono molti pezzi della discografia della cantautrice, tra cui le splendide Ari’s Song e My Only Child. Nel documentario assistiamo a un rapporto recuperato nel tempo che si conclude con il loro viaggio (ultimo per Nico) a Ibiza.
“Sono stata al top e ho toccato il fondo. Entrambi i posti sono vuoti” afferma con disincanto e un velo di cinismo la protagonista. La vita dell’artista è stato un fluttuare continuo che le ha permesso di conoscere diverse realtà. Potrebbe sembrare un ritratto disilluso e triste, in realtà ha qualcosa che incita all’accettazione totale di sé e alla ricerca della propria autenticità.