C’è quel vago senso di tristezza quando si arriva trafelati al Tunnel di Milano, e non c’è nessuno per il concerto dei Nada Surf.
I Nada Surf sono una band che trasuda un senso di internazionalità, a cui forse non eravamo abituati, e a giudicare dai pochi (primi) presenti, neanche così pronti. Anniversario dei quindici anni da quell’imponente “Let Go”, che scosse una piccola generazione di ascoltatori, tra chi racconta di una data al MAMAMIA di Senigallia, a cui non c’era nessuno, però è come se ci fossero stati tutti.
Il Tunnel si riempie lentamente, tra un andirivieni di una birra e l’altra.
Prima parte del concerto, tutto quel Let Goche rispolvera i ricordi di chi quindici anni fa s’era macinato quel disco nel mangianastri. Un indie-rock di sapore statunitense, ma con un respiro europeo, ricercato, una Là Pour Ça in francese cantata dall’eccentrico bassista Daniel che regala un coraggioso regalo di chi vuole dirlo, di essere diverso da quel marasma di gruppi filo-newyorkesi che in quegli anni invadevano la Grande Mela. Erano gli anni di Strokes, Interpol, Yeah Yeah Yeahs, e a spostarsi un po’ sul genere, erano anche gli anni dei Dresden Dolls. E poi c’erano loro, i Nada Surf, che di anni sembrano averne vissuti parecchi. Si sente la tirata, si sente che il disco è datata, per loro, per gli ascoltatori nostalgici che si avvinghiano alla prima fila e che ogni tanto si voltano a guardare se il locale intanto si è riempito o no. Non c’è la volontà di sembrare giovani a tutti costi, si portano con orgoglio le rughe addosso e non ci si vergogna di sembrare un po’ stanchi sul palco.
Segue un secondo set, di super-hit e canzoni che tutti sembrano conoscere a memoria. Sono tre ore intense, tirate, sudate, massacranti. Poche pretese se non quella di divertirsi, ringraziare un pubblico attento e capace. Un bel live, che non era da perdersi, né quindici anni fa, né tanto meno adesso, con quell’effetto nostalgia da teenager, e tutto ciò che di bello è venuto dopo Let Go.
Morgana Grancia