Altra live session, altra chiacchierata. Interlocutori (virtuali) dall’altra parte della cornetta i Mòn, band romana che ha eseguito la sua splendida “Alma” per una nuova puntata di Pop Up Live Session.
A onor del vero, ho avuto il piacere di parlare solo con Stefano Veloci, bassista della band. Stefano era preparatissimo sull’argomento “Mòn” ed è riuscito ad assolvere i compiti, meritando pienamente il ruolo di delegato speciale.
Mentre compongo il numero di telefono ho ancora in testa le note di “Alma” e quel candore che non ho potuto fare a meno di notare legato perfettamente al luogo scelto per la live session. Un posto che risponde al nome di ACRO, un’incantevole realtà museale all’interno di Serra Madre.
Trattori e foto d’epoca immersi in un bianco spiazzante, una location che trasmette pace e culto della memoria. Non si poteva trovare venue migliore secondo Stefano per posizionare gli strumenti. Anche perché come Mòn ci hanno messo molto del loro, ma riconosce il grande lavoro di ricerca sulle location fatto dalla crew di Pop Up.
Perché “Alma”?
Stefano mi dice che lo trovavano più adatto a essere un singolo. Si tratta di uno dei pezzi preferiti dei Mòn, sapevano di dover suonare in un posto al chiuso, bianco e asettico e in più pensavano si adattasse bene allo stile delle live session di Pop Up.
Di quella giornata ricorda di non aver quasi mai incrociato i ragazzi di Pop Up (“stavano chiusi in corridoio, tipo Grande Fratello, a lavorare”). E racconta di Rocco (cantante tastierista) che dimentica sempre lo stand per la tastiera e deve puntualmente arrangiarsi con ciò che trova. In quel caso hanno dovuto rovistare nell’immondizia, ma mi confessa che è stato istruttivo. “Capisci più cose della gente rovistando nella sua immondizia che da altro”.
Non è la prima collaborazione insieme a Pop Up, precedentemente avevano girato un video con altri gruppi sempre a Roma. Ogni band suonava circa quattro pezzi e all’ultimo dovevano suonare di spalle al pubblico, con telecamere che riprendevano tutte le angolazioni.
Ma prima di addentrarci nella loro scoperta, presentiamoli tutti.
Hanno dai 21 ai 25 anni Rocco Zilli ( Vocal, Synth, Guitar), Carlotta Deiana (Vocal), Michele Mariola (Guitar), Stefano Veloci (Bass) e Dimitri Nicastri (Drum).
Mòn è una parola molto usata, vuol dire “isola” in danese, “archi” in giapponese, “above mountain” nel linguaggio dell’aeronautica statunitense.
E, senza accento, “mio” in francese.
Quale di questi significati hanno scelto? Tutti e nessuno, Stefano mi dice che, proprio perché significava tutte queste cose, hanno voluto personalizzarlo con la “o” accentata. Che non vuol dire nulla in termini di significanza letterale, ma così i Mòn gli hanno dato il loro piccolo significato.
Musicalmente parlando ai Mòn sono state attribuite molte influenze, sempre del mondo indie electro rock (io personalmente ho aggiunto la mia, gli statunitensi L’Altra). Ma non sempre ci si ritrovano. Per esempio vengono accomunati molto agli inglesi The xx, anche se si sentono più vicini ai danesi Efterklang che amano molto, soprattutto per l’androginia delle voci.
“Zama” è il loro ultimo album, uscito per Urtovox, da cui hanno estratto “Lungs” come primo singolo il cui video – anch’esso dal bianco asettico misto però ad altri colori sgargianti – è stato animato dal loro grafico Marco Brancato, il “sesto” Mòn.
Durante i live si crea una sorta di dimensione meditativa, mi dice Stefano, in cui l’ascoltatore si distacca dalla realtà. E si sta lì insieme in questa sorta di “bolla” creata da loro e dal pubblico. Per Stefano “‘Zama’ è onirico e forse distaccato, ma è abbastanza coinvolgente, ha ritmiche forti e suoni ampi e in qualche modo crea una situazione di trazione, di estraniamento dalla realtà. Puntiamo a creare solo associazioni di tipo emotivo, non razionale”.
E se anche questi non fossero i loro obiettivi designati, come mi avverte Stefano, sono sicuramente dei piacevolissimi effetti sortiti.