Michele Scerra debutta da solista con Torneranno i Poeti e scrivere questa recensione è qualcosa che non si dovrebbe scrivere.
Perché Michele Scerra è un amico e personalmente molto di più.
Tranquilli non sarò melenso e sdolcinato, soltanto vi aprirò alcune finestre per lasciarvi curiosare.
La prima volta che ho ascoltato questo disco era incastrato nell’autoradio della sua storica Lancia Y arancio metallizzata.
Fresco di master, fuori un natale del sud che fatica ad ingranare, lo ascoltavo intimidito.
Avere l’artista accanto mette in soggezione, ma Michele sa come metterti a tuo agio e non starò qui a spiegare come, perché non è un modo molto da chansonnier.
10 tracce che scorrono una dopo l’altra, imbastiscono una conversazione su tutto quello che ci circonda, quello cui ribellarsi è sempre più concretamente utopia.
Forse.
“Alina e Vincenzo” racconta di schiave e lavoratori scarsamente qualificati, il sottogradino in fatto di tutele e stabilità.
Un brano scritto fissando il porto di una città del sud alla deriva, la sua Crotone, dove il giorno e la notte frequentano le stesse strade senza vedere quale direzione prendere.
“Più niente da prendere”, primo singolo estratto, è un’affermazione di cassandriana memoria, un invito a prendere coscienza di ciò che l’uomo ha creato.
Testi puri, saldamente fermi nell’analisi della società che vengono portati con leggerezza da musicisti del calibro di Giovanni De Sossi, Davide Calabretta, Fulvio Renzi, Gianfranco de Franco e Gianfilippo Boni.
Il basso del maestro vibonese è libero nell’espressione e colmo di impeti che riprendono la nave un attimo prima della tragedia.
Fiati e violini annullano la distanza tra spartito ed immaginazione, unendole in suoni e accenti.
Chi ricorda il cantautore calabrese con l’Orchestra del Rumore Ordinato, conoscerà “Il Circo Gelsomino”, traccia presente anche in questo lavoro, filo conduttore col suo passato fiorentino.
Ma oggi Michele ha deciso di smettere di correre ed ha iniziato a scalare le montagne, arrampicandosi alla ricerca dell’ignorato e del trascurato.
“Come Glicine” è il brano che mostra tutte le sue abilità di compositore e arrangiatore, un pop italiano di vera qualità unito con ritmiche britanniche e fiati orientali.
“Annegando” e ” Non nominare la fine” sono la risposta a chi ripete come un cliché che in Italia non si scrivono più canzoni d’autore come un tempo.
Si scrivono, è che non si vendono o non si cercano.
Michele Scerra è eclettico, ci puoi parlare di Skip James e degli XTC, ma Dio ci fulmini se non è vero che ha un tarlo in testa da 12 misure.
“Omega ed Alpha” è il suo manifesto, l’ossessività del blues, l’impegno e la rabbia, l’inquietudine nella serenità. E forse è anche quello che sentirete nei suoi live, perché tanto la scaletta se la gode così tanto che non è mai uguale a sé stessa.
Quando ripete “la bellezza ci salverà”, non racconta una storiella strappa pubblico. E’ il credo di un uomo che ha trovato alcune risposte, nel silenzio e lontano da tram ed enormi fruibilità.
Mi sono chiesto mille volte se avesse ragione, dubitando e rimbalzando.
Ma un uomo capace di scrivere “1,618” utilizzando il numero aureo per parlare d’amore qualche ragione deve averla per forza.
“Torneranno i Poeti” è un disco maturo, ha il passo compassato di un padre che sembra andare piano ma in realtà legge soltanto il futuro con l’esperienza e la sensibilità, perché non ha vergogna del suo cuore.
Ma soprattutto ha la chiave giusta dentro, per raccontare e cantare.
E allora venghino signori venghino!