A Eleva Festival non abbiamo ballato soltanto dell’ottima elettronica, infatti è stata anche l’occasione giusta per scambiare quattro chiacchiere con Federico e Simone (al secolo Masamasa e il suo producer Simoo) per confrontarci su come è andato questo primo tour in cui (sia loro che noi!), ci siamo ritrovati per la prima volta.
Lasciata Caserta e imboccata la via di Milano, il rapper ne ha fatta di strada: abbiamo parlato del suo live, parlatissimo e super carico, di qualche sogno, qualche paura e anche delle cosiddette tipeindie (al secolo, le groupies) a cui ha dedicato anche una canzone. Ecco cosa ci ha raccontato.
Stai girando da un po’ ormai: com’è cambiata la tua vita?
Masamasa – Le date stanno andando generalmente bene: io principalmente voglio divertirmi ed è quel che sto facendo! Ovviamente girando tutta Italia con un progetto piccolo e solo tre pezzi fuori, il live assume una dimensione diversa. Se ti espongono a tanto pubblico ti diverti, è bello, ma bisogna rigare dritto anche quando hai meno persone davanti. Sicuramente ho guadagnato un botto in consapevolezza, perché posso vedere dal vivo quello che ho sempre immaginato. Stiamo sperimentando la realtà che va al di fuori dello schermo del telefono, di Spotify, eccetera. Direi che per adesso va più che bene!
Il tuo è un live tanto parlato. Fai sempre così?
Masamasa – Sì, sempre. La gente pensa spesso: “si parli tanto perché devi coinvolgere le persone”. La realtà è che io parlo tanto in generale (ride). Mi piace comunicare. Io mi diverto ai live, non voglio fare l’artista scontroso che se la mena, perché non mi rappresenta: presento il disco e parlo con il pubblico. Anche quando tutto sarà più completo, non sarà semplicemente un concerto di canzoni, perché penso che parlare con la gente sia divertente.
Sappiamo che ascolti parecchia musica classica, è vero?
Masamasa – dipende, dipende dal periodo in cui mi trovo: sicuramente quando sto da solo sì.
Simoo – io invece ascolto tutta la roba tamarra americana a cui puoi pensare. Abbiamo dei gusti totalmente diversi, penso sia quello che funziona nel complesso. Roba tipo Future Bass, EDM che ci ha uniti per un po’, ma ora mi hanno rotto un po’ le palle.
Masamasa – sto ascoltando un botto di cantautorato, più quello che il rap. Poi in realtà è un periodo in cui becco un po’ di dischi vecchi, di gente che ora è famosa, tipo Coez: “Non erano fiori” e “Siamo morti insieme” sono due pezzi che ho abbastanza in loop negli ultimi giorni. All’improvviso mi è tornata questa cosa e me li sento tipo venti volte al giorno. Poi sto anche un botto di rap americano. Di italiano non riesco più a farmi piacere nulla e un po’ mi dispiace, perché l’ho sempre apprezzato: nel 2012 penso di non aver ascoltato altro che le mie crew preferite di rap italiano… però ora in Italia c’è come una bolla che sta per esplodere, di roba inascoltabile; non c’è studio, non c’è passione. È una bolla gigante che continua ad ingrandirsi, tutti mangiano dallo stesso piatto ma prima o poi questa situazione finirà: c’è troppa poca gente con un’identità sua. Ti dico, il disco di Sfera me lo sono pompato tantissimo, perché penso sia bellissimo e i nuovi dischi di qualsiasi altro nella scena li ascolto, ma mi sembra tutto una copia continua ed è una cosa che mi fa anche stare male.
Simoo – Generic Animal lo sto sentendo tantissimo, mi piace davvero. Anche l’ultimo di Gue mi piace, infatti ci siamo scontrati su questa cosa perché a lui (Masamasa, ndr) fa cagare.
Masamasa – no, è che penso sia l’ennesimo pezzo di Gue.
Simoo – è un pezzo orecchiabile, poi certo se voglio sentire roba più ricercata, ascolto altro.
Masamasa – che poi non gli puoi dire niente, Gue è il capo, se è lì ovviamente c’è un motivo, però ho bisogno di roba nuova, al momento non riesco più a comprendere ciò che fino a qualche tempo fa comprendevo, come ad esempio anche tutta la scena trap, che prima ascoltavo con piacere.
Questo vuol dire che ti sei stancato di tutto? È un vantaggio, significa che ti puoi distinguere ancora meglio, lavorando sodo.
Masamasa – Senza dubbio. Io credo nella libertà di ognuno, alle persone può far cagare la mia musica e posso anche essere d’accordo con loro, ma è innegabile che dietro ci sia uno studio, una personalità. È ovvio che sentirai l’influenza di X, ma c’è anche voglia di essere personali e non è facile, perché se io e Simoo ci mettessimo in studio potremmo fare altre 35 tracce come “Friendly” (il brano più noto di Masamasa, ndr), diventare un meme di noi stessi e finire così. La gente sta diventando un meme, capito? Non è che fa brutte canzoni, è solo che tu già sai da dove vengono. Ora che sto seguendo un po’ di più il cantautorato italiano… se Calcutta fa una cosa, se Tommaso Paradiso ne fa un’altra, cazzo, tu puoi farne un’altra ancora! Non vedo perché tu debba fare la stessa, non ha senso, non riesco a capire. Magari questa gente che imita ha anche seguito, quindi forse è una pecca mia, ma secondo me è tutto così saturo musicalmente che vederci lungo è difficile.
Sappiamo che anche tuo padre ti ha influenzato molto. Qual è stata la spinta più importante che ti ha fatto scegliere di iniziare questo progetto?
Masamasa – Sì, mio padre mi ha influenzato e sicuramente è stato fondamentale avere degli strumenti in casa: ancora oggi io uso quel poco che so di armonia quando dobbiamo produrre. So quello che mi piace e quello che non mi piace. Ci sono rapper bravissimi in Italia che però non sanno cos’è un basso. Io so cos’è un basso, so che differenza c’è tra due pezzi con determinate sonorità o con un accordo particolare, che in realtà è una cosa che mi destabilizza un po’, perché non riesco ad essere subito soddisfatto del beat.
Sei un perfezionista?
No, poi quando faccio i pezzi mischio tracce di provini… però l’idea di base dev’essere figa. Non è questione di complessità dell’accordo, è che mi sono stufato di sentire sempre le stesse cose, basta. Mi ricordo di questa scena (ride), in quinta elementare, in cui io avevo appena imparato a suonare “L’isola che non c’è” di Bennato, alla chitarra e c’era il saggio di classe. Io vado lì, suono la chitarra, la mia maestra che canta… e io inizio a buttare accordi a cazzo (ride). Però ho sempre capito, già da bambino, che mi piaceva stare su un palco, al centro dell’attenzione. Quando la gente ha cominciato a reagire è stato importante: fino ad allora erano stati solo tentativi, un po’ alla “io speriamo che me la cavo” (ride).
Da Caserta non dev’essere stato facile emergere.
Simoo: la prima svolta vera infatti l’ho avuta quando sono venuto a Milano, perché comunque da giù è difficile farti sentire.
Masamasa: è difficile per le persone. In una città piccola conosci tutti e tutti conoscono te, magari tu fai delle cose belle mentre altri fanno cose che credono essere belle, quindi per quanto tu possa creare cose migliori, questi faranno di tutto affinché le tue cose non emergano. Milano è diversa: ovviamente l’invidia esiste, è un sentimento umano, però Milano essendo così grande ti da’ più opportunità. Magari il primo ti vuole affossare, il secondo pure, invece al terzo piaci e ti passa al suo amico, che ti passa al suo amico e così via, becchi qualcuno che ti dà una spinta. A Caserta questo non succede, perché sono l’uno il nemico dell’altro.
Qual è stata la molla, la volta buona? Quand’è avvenuto il passaparola giusto?
Diciamo che è stata una cosa graduale, io non ho mai creduto al mondo dei contatti, di andare in giro a farsi tutte le serate: è una cosa che non fa per me, non sarei naturale. Per dirti, io non so chiedere una foto a qualcuno! Mi è capitato molto spesso ultimamente di conoscere persone che erano i miei eroi e non ho mai chiesto loro una foto. Quindi, ti dico, il passaparola c’è stato, perché mi ricordo di aver caricato su un link privato “Friendly” quando avevo già tutto pronto, anche il video; l’avevo già caricato su Spotify, era pronto per uscire ma comunque ho caricato il link privato la sera e 24 ore dopo aveva già quasi mille plays su Soundcloud, quindi da privato. Lì mi sono detto “che cazzo sta succedendo?”. Il link è rimbalzato come una palla pazza. Infatti poi mi ha contattato Gianluigi di Peer Music, tramite un nostro amico, e quello puoi segnarlo come un momento epico. Però si continua a crescere: penso allo scalino Foolica, allo scalino Mi Ami Fesitval… tutte queste robe qua direi che stanno contribuendo al flusso generale.
La parentesi Berlino?
Importante, ma fino ad un certo punto.
Cioè?
È stata fondamentale per il gusto del sound, per quanto riguarda l’elettronica. Simoo è venuto a fare un progetto, che si chiama “Ostbanhof”: sei pezzi in quattro giorni! Abbiamo fatto questa follia. Io ho avuto l’opportunità di confrontarmi con musicisti pazzeschi, per me il confronto è il motore di tutto. Ora che suono in un progetto solista lo faccio guardando altri artisti: se faccio un provino, non lo devo poter presentare a gente che già mi vuole bene e mi apprezza, anzi mentre lavoro mi chiedo “se Kanye West sentisse questo provino, cosa ne penserebbe?”. È quello che penso tutti i giorni. Berlino è stata fondamentale ma fino ad un certo punto, non è che mi abbia svoltato a livello di contatti o cose del genere. Ho studiato però, studiavo tanto.
Consigliaci due pezzi da mandare in radio: poi ne chiediamo due anche a Simoo.
Masamasa – ricambio il mio secondo padre, Leo Pari, e voglio subito la sua “Venerdì” in radio.
Simoo – io mi sto pompando un sacco il disco di Ketama126, se devo scegliere direi “Mi sento male”.
Masamasa – grande Ketama126! Ecco lui è l’esempio: ti può piacere o non piacere, perché non va sul sicuro quando fa musica, fa la roba sua. Tu dirai “che c’entra Masamasa con Ketama?” e hai ragione, ma io quando lo ascolto sento che è qualcosa di personale. Mi piace, è orecchiabile, non si sforza di essere complicato da non essere comprensibile. Stessa cosa Frenetik&Orange.
Dicci la verità: quando esce il disco?
Non c’è il disco! Allora, non so se andrò avanti a singoli, per me un disco è un discorso sensato. Il fatto è: se io non ho un’esperienza di vita così formativa da poterla suddividere in dodici tracce e dire qualcosa, trasmettere un messaggio, non lo farò mai. Posso anche morire senza aver fatto un disco. Piccolo spoiler però: sarà un autunno caldo.
Quindi non volete darci neanche un indizio?
Simoo – Un piccolo spoiler ce l’ho io… basta guardare i segni zodiacali.
Masamasa – Mi piace! (si danno il cinque)
Con chi ti piacerebbe collaborare, anche all’estero?
Masamasa – In Italia con Ghemon sicuramente.
Simoo – Come produttore mi piacerebbe lavorare con Generic Animal.
Masamasa – sì, poi sicuro con Leo Pari mi divertirei un botto. All’estero, con Lido o Lil Pump. Comunque vorrei collaborare con persone che possano arricchirmi personalmente.
Simoo – a pensarci bene, io vorrei produrre un pezzo a Florence and the Machine.
Dicci un po’: chi è la “Tipaindie”?
(Ridono). Masamasa – Quello è un pezzo simpatico, che parla di un’esperienza vera. Tanti hanno fatto un pezzo sulle groupies, in generale…
Hai già le groupies?
Masamasa – No, beh, ma quando il tuo progetto comincia ad essere in vista, sicuramente l’attenzione è diversa, è normale. Vale lo stesso quando è una ragazza ad avere successo. Diciamo che il mio è un modo simpatico per definire la groupie del 2018: si fa tutti i concerti indie o rap, come lo vuoi chiamare, non credo nella differenza. Mi piaceva lo stereotipo perché avevo notato che molti atteggiamenti erano comuni
Qual è la cosa più comune che fanno le Tipeindie?
Direi una frase, che è l’inno, che tutte dicono. Cioè io chiedo una cosa tipo: “ti piace Coez?” e loro: “sono stata almeno a sei live!” (ridono). Quella è la frase indie. E poi le avances, dai. Una volta eravamo al concerto di Ghemon al Magnolia e un po’ di persone mi hanno chiesto di fare una foto, tra cui questa ragazza che guarda Simone, gli da’ il telefono per scattarci la fotografia, e dice: “tanto i producers a questo servono!”. Anche se devo dire che in realtà per strada lo fermano Simo (ride).
Di Giorgia Salerno
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