Un lunedì sera come tanti, in una non certo primaverile serata di marzo, uno dei miei posti preferiti qui a Lille – La Bulle Café Maison Folie del quartiere Moulins – propone di passare a fare un salto per vedere i connazionali Zu accompagnati dai francesi Grüppe.
La prima volta che ho visto gli Zu era forse il 2004 a Bologna. Per strada avevo notato il loro manifesto, non sapevo chi fossero, ma mi era piaciuto subito la grafica e decisi di andare ad ascoltarli. Anche perché la selezione proposta dal Vicolo Bolognetti meritava sempre fiducia. Ci avevo visto i Karate poco prima e ne ero rimasta molto colpita. E con la band romana non andò diversamente. Ricordo che quando poi ho raggiunto i miei amici in piazza Santo Stefano e questi mi hanno chiesto: “Allora, com’erano sti Zu?”, io ho risposto: “Mi sanguinano le orecchie, ma di gioia”.
Se c’è una cosa bella che Lille mi sta regalando è l’opportunità di assistere a diversi concerti di musica italiana indipendente. Mi sembra di non essermi mai mossa dal mio triangolo romano San Lorenzo – Pigneto – Torpignattara. Avere anche qui i tuoi punti di riferimento come La Bulle Café – Maison Folie un po’ ti aiuta a chiudere la bocca a quella vocina interna che di tanto in tanto intona impunita “Nostalgia nostalgia canaglia”.
Arrivo a concerto iniziato, sul palco ci sono già i Grüppe, trio francese sperimentale con l’arduo compito di introdurre una serata di musica non certo orecchiabile per molti.
Tanta concitazione, qualche rutto del bassista e cenni di fomento da parte del pubblico: segnali che la serata sta cominciando con il giusto mood. La band che “fu formata un giorno allo scopo di morire più tardi” – così dicono nella loro biografia – dopo qualche pezzo smonta l’arsenale sul piccolo palco. Qualche manciata di minuti e dal mathcore made in France ci si tuffa a bomba nel jazzcore tutto italiano. Le casse cominciano a pompare la musica e io mi maledico per aver dimenticato i tappi dato che non ho più vent’anni da un pezzo.
E sebbene Massimo Pupillo (basso), Luca T. Mai (sax baritono) e Jacopo Battaglia (batteria) hanno di gran lunga passato i vent’anni anche loro, la loro musica continua a non invecchiare mai. D’altronde Pupillo ce l’ha scritto anche sulla maglietta, “Persistence is All“, l’importante è ostinarsi e continuare a procedere nello stesso verso. E ad accompagnare questa frase c’è il logo di una band molto cara a tante formazioni romane (e non solo). Si parla degli Einstürzende Neubauten che sono e continuano ad essere fonte di ispirazione di tanti artisti che di questo non fanno di certo mistero.
Mentre mi abbandono a questa riflessione vengo subito riportata alla realtà come se mi stessero dando uno schiaffo al contrario. Siamo già al terzo pezzo e comincio a credere che gli Zu stiano proponendo tutto “Carboniferous“, il mio album preferito. Ne ho subito la conferma sbirciando la scaletta attaccata dietro la cassa fautrice della mia sordità momentanea. L’ album uscì nel 2009 per Ipecac Recordings e tra i nomi delle collaborazioni spuntano quelli di Mike Patton e Buzz Osborne.
In preda al sottile piacere, dimentico di non avere più i timpani e mi abbandono ai suoni che mi comandano di ballare. E il mio corpo riscopre la voglia adolescente di farsi trascinare da ritmi che negano l’immobilità degli arti.
Dietro di me un gruppo di italiani – romani, per la precisione – urla apprezzamenti in classico gergo dell’Urbe. A questo punto credo di essermi dimenticata per un momento di essere nel nord della Francia, pensando di trovarmi di nuovo a sud-est di Roma.
Breve ma intenso, il pubblico chiede ancora musica, gli Zu ritornano sul palco. Nonostante Battaglia dia cenni di stanchezza, ci regalano altri due pezzi. Le luci si riaccendono, il brusio delle voci del pubblico si alza e gli artisti scambiano due chiacchiere con i fan vicino lo stand col merchandising. Non ho mai ben capito se la band avesse scelto “Zu” come riferimento alla lingua tedesca. Mi è sempre piaciuto pensare che l’intento del gruppo fosse proprio quello. “Zu” è sia una preposizione che una particella, i cui significati sono diversi in base all’uso che di questa se ne fa. Dunque la particolarità della parola è la sua versatilità legata al contesto: decisamente una frase che utilizzerei per descrivere la musica degli Zu.
di Ilaria Sgrò