Timber Timbre è un progetto made in Canada talentuoso e originale nonostante le radici che affondano tra blues e folk.
Dopo un mini tour in Svizzera (3 date), Timber Timbre è partito da Torino per passare da Bologna, arrivare a Roma e concludere il viaggio nella penisola a Napoli.
Timber Timbre è un progetto capitanato dal polistrumentista e compositore Taylor Kirk che fin dal 2006 ha abbracciato diversi stili e sfumature sonore cambiando formazione, di volta volta e di album in album (contiamo 6 dischi compresi gli indipendenti ed uno in arrivo).
Dopo un breve assaggio di Joseph Martone che ha subito fatto capire l’alto livello della serata, il Monk si è immerso in un’atmosfera soffusa e onirica con una luce rossa talmente intensa e fissa che sembrava di essere avvolti da luce inattinica in una camera oscura.
Dettaglio questo che non ha reso felici i fotografi che si sono trovati a lottare contro tale illuminazione riducendo al limite la loro libertà di esposizione. Il nostro Giulio Paravani, ad esempio, ha optato per una post produzione in bianco e nero.
Sul palco del Monk, oltre a Kirk c’erano Mike Dubue (piano, synth e voce) e Adam Bradley Schreiber (batteria e percussioni).
L’occasione di questa toccata e fuga tra Svizzera e Italia è stata la presentazione dal vivo del disco “Loveage”, in uscita nella primavera 2023.
In un locale strapieno la musica di Timber Timbre passava da lente ballate sensuali ad arrangiamenti dissonanti e taglienti accarezzando diversi generi musicali: dal folk al blues, dal soul a quel rock n’ roll di metà del secolo scorso che ci ha illuso, grazie agli effetti della chitarra di Kirk, di ascoltare a tratti vecchie registrazioni di Sister Rosetta Tharpe.
Il tocco jazz del batterista aggiunge quel pizzico di raffinatezza acustica ed estetica rara nella musica pop.
Insomma, Timber Timbre ha messo in scena una colonna sonora che potresti ascoltare in quei film nord europei in cui il protagonista si ritrova perso nei suoi pensieri tra le vie dei canali di Amsterdam dove tra un coffee shop e l’altro si perde confuso nel Red Light District.
E buona pace per i fotografi e le fotografe.
Testi di Damiano Sabuzi Giuliani e foto di Giulio Paravani