Si ritorna a L’Aéronef per un altro live da pelle d’oca. Stavolta a far saltare e gioire il pubblico di Lille e dintorni sono gli americani Osees, accompagnati dai connazionali Brigid Dawson & The Mother’s Network.
Gli Osees, capitanati dal carismatico John Dwyer, sono di casa a Lille e a L’Aéronef. Difatti il pubblico li accoglie come fossero vecchi amici, al punto che il frontman recita un’intera frase in francese a inizio concerto. Che ovviamente suscita orgoglio e soddisfazione nei presenti. E che porta John Dwyer a dire un “merci” con toni e smorfie sempre differenti alla fine di ogni pezzo.
Prima del caos scatenato dagli Osees, la dolcezza della voce di Brigid Dawson con i suoi The Mother’s Network ha coccolato gli orecchi e incantato i cuori del pubblico. Brigid Dawson è l’ex tastierista-cantante degli Oh Sees, altra formazione di John Dwyer. Ho sempre trovato molto bizzarra e lievemente auto-celebrativa questa mania di Dwyer di creare tre formazioni con nomi quasi identici (parliamo di Thee Osees, The OhSees, Oh Sees e Osees). Il risultato è una gran confusione tra i fan, oltre a portarli a pronunciare i nomi sempre allo stesso modo. Soprattutto per i non madrelingua inglesi. Ma questa è chiaramente un’opinione personale.
La musica onirica di Brigid Dawson & The Mother’s Network ci accompagna per un’ora circa, un po’ di più del consueto per un gruppo spalla. La band californiana si concede un extra bis per via di un incidente tecnico avuto dal chitarrista durante l’esecuzione di un brano. E che ha magistralmente risolto in men che non si dica.
Nello stesso lasso di tempo veniamo schiaffeggiati da un turbine di adrenalina che, dalla prima all’ultima nota della serata, ci rimette al mondo confusi e felici. Le due batterie (Paul Quattrone e Dan Rincon) sono il simbolo di riconoscimento della formazione e si impongono maestose al centro del palco. L’architettura stilistica della posizione degli strumenti è senza dubbio una delle attrattive maggiori degli Osees, probabilmente per via dell’originalità della disposizione. Tim Hellman (basso) e Tomas Dolas (tastiera) si inseriscono rispettivamente a sinistra e dietro le batterie, mentre la voce e la chitarra di John Dwyer dominano la scena dalla loro destra. Questo dimostra come un frontman non necessariamente debba occupare il centro del palco per stabilire il suo ruolo di maestro di cerimonia.
Il pogo alle mie spalle risveglia ricordi che sembravano ormai sepolti. Ma il dolore allo sterno e alle gambe – per cercare di ripararmi – mi riporta alla dura realtà di chi non ha più un’età per queste cose. Però sentire gli altri spintonarsi, ridere, ballare, urlare le canzoni, vedere viaggiare i loro corpi sulle mani da un lato all’altro della sala mi fa scendere la lacrimuccia nostalgica per quelle atmosfere che da tanto tempo non ero più abituata a vivere.
Il merito di John Dwyer – perché intendiamoci, un po’ come per Mike Patton alla fine si parla sempre dell’artista creatore delle varie formazioni – è di avere una mente sempre gravida di idee.
Che lo porta a concepire suoni bizzarri, performance intense e forti, un tornado di energia grezza e coinvolgente. Ci regala un esempio di garage-rock che violenta le orecchie e turba le menti, per aprirle a un suono sempre ricercato e mai banale.
Nonostante la verve da duri rockettari, gli Osees dimostrano la loro dolcezza nel fare più volte gli auguri di compleanno al fonico. Inoltre ci avvisano che gli ultimi tre pezzi stanno per essere suonati, loro non concedono bis: non lo hanno mai fatto. Le orecchie ancora fischiano, le membra sono provate dal pogo incessante, ma la soddisfazione di aver visto un concerto così elettrizzante dopo tanto tempo è pervasiva. E le emozioni rimangono nella testa, nella bocca che ancora canticchia e nel mio corpo che, seppur non allenato, dimostra di essere sempre pronto a una degna scarica di rock.
di Ilaria Sgrò