Primo dicembre, il freddo comincia a farsi sentire anche a Roma.
È la serata di Galoni, cantautore della provincia romana che, dopo quattro anni dall’ultimo disco “Troppo bassi per i podi” (2014), presenta al Monk il suo nuovo lavoro “Incontinenti alla deriva” in uscita il 7 dicembre 2018 per Goodfellas.
Ho avuto il piacere di incontrarlo prima del concerto per scambiare due chiacchiere con lui: i virgolettati che seguono, oltre alle parole delle sue canzoni, contengono alcune sue riflessioni.
Ma prima del live di Galoni e la sua band sale sul palco Danilo Ruggero, giovane cantautore di Pantelleria che porta in musica un po’ della sua terra. Il suo EP, “In realtà è solo paura”, è fresco di qualche mese e, nonostante la struttura minimale del live – voce e chitarra acustica -, Ruggero riesce a conquistare il pubblico che, canzone dopo canzone, si avvicina sempre di più verso il palco, mostrando di apprezzare molto la voce decisa e personale del cantautore e i suoi testi tra dialetto siciliano e impegno sociale.
La sala concerto del Monk è ormai gremita. Tutto è pronto per la prima di “Incontinenti alla deriva”.
Un titolo che mi incuriosisce e di cui ho voluto chiedere qualcosa di più a Galoni rispetto a quello che avevo già letto: “nell’accezione dantesca gli incontinenti sono coloro che non riescono a contenere il desiderio morboso del vizio perché danno poco spazio alla ragione”. E forse è così che ricorderemo anche la nostra epoca, un’epoca di incontinenti, tra i quali si rispecchia lo stesso autore: “l’incontinenza di cui parlo è il vento che ci trasporta verso un mondo che probabilmente non appartiene alla natura dell’uomo, una situazione in cui mi rispecchio anch’io, non penso certo di esserne al di fuori. Quello che è importante secondo me è cercare di viverla in maniera critica, ponendo magari dei limiti a questa incontinenza”. Questo mondo “che probabilmente non appartiene alla natura dell’uomo” è lo sfondo dell’intero disco.
“Banksy”, il primo singolo estratto dal disco, è anche l’apertura del live, che vede Galoni al centro e i suoi musicisti disposti attorno a lui in maniera semicircolare.
Alla sua sinistra spicca alla batteria Emanuele Colandrea, produttore artistico dell’album, la cui presenza sul palco, come quella dell’intera band, è stata veramente potente.
Dopo “Banksy” è l’ora di “I sistemi binari” e “L’America è una truffa” (il titolo del disco è tratto da un verso di questa canzone), due pezzi che contengono già tutti gli elementi di critica di cui parlavamo prima, critica nei confronti di una società che tende a omologarci e nella quale sembra più importante avere un’opinione che ci accomuni che un dubbio, una qualsiasi opinione, magari solo sentita dire da qualcuno senza esserci soffermati troppo a pensare, in cui vincono il pregiudizio e la paura sull’autonomia di pensiero. Il modo di narrare di Galoni, il suo raccontare storie attraverso la musica, è figlio della tradizione cantautorale del nostro Paese, un impegno ormai raro da trovare nel panorama italiano contemporaneo. Perché la musica in fin dei conti è questo, deve fare questo, una canzone deve essere “qualche cosa che mette la pulce nell’orecchio, che spinge a riflettere, secondo me dobbiamo farlo – mi dice Galoni -, perlomeno io ho bisogno di farlo. È una cosa che mi viene naturale, comincio a scrivere una canzone senza pensare a cosa scriverò e ci vado a finire dentro, fa parte della mia natura.”
Il live prosegue con l’alternarsi di pezzi vecchi e nuovi (tra questi ultimi “In linea d’aria”, “Una razza di giganti”, “Il sistema tolemaico”, “Mi resterà il tuo nome”, “Per andare dove”). La cosa incredibile è vedere come il pubblico accorso conosca già a memoria i pezzi del nuovo disco (disponibile in anteprima on line da quel giorno stesso). Questi non sono certo fan occasionali. A premiare Galoni e la sua musica è senz’altro la sua perseveranza (se così possiamo chiamarla) artistica, l’essere rimasto se stesso. “Bisogna essere se stessi, per un musicista è una cosa fondamentale avere una propria identità. Alla lunga le cose che rimangono sono quelle reali, vere, quelle che rispecchiano un certo tipo di identità, di percorso artistico.” Ma c’è naturalmente anche bisogno di nuovi stimoli, ecco perché il suo terzo album si discosta da i due precedenti: “i primi due dischi erano molto acustici, molto folk. Quest’ultimo ha sì una matrice folk, però abbiamo lavorato diversamente sugli arrangiamenti: abbiamo inserito delle chitarre elettriche, delle sonorità che ricordano il nord Europa, è un disco molto suonato al pianoforte a differenza degli altri. Anche i live saranno diversi.” E questa serata ne è la dimostrazione.
A infuocare il palco sarà poi l’entrata in scena di Giancane col quale Galoni e la sua band suonano “Il mestiere di vivere”, brano tratto dal primo disco, “Greenwich” (2011), che racconta i profondi cambiamenti che stiamo vivendo.
Poi è l’ora di “Stachanov”, “una ballata per tutte le solitudini che lottano ogni giorno.” Chiudono il live alcuni vecchi brani a cui il pubblico dimostra di essere particolarmente affezionato, come “Carta da parati”, contenuto in “Troppo bassi per i podi”, canzone d’amore dal gusto dolceamaro. In Galoni anche le canzoni d’amore, quelle più personali che narrano di storie di relazioni vissute, non sono mai avulse dalla situazione sociale in cui ci troviamo: “raccontare questi amori sempre all’interno di questioni sociali è una cosa dalla quale non riesco a fuggire, mi viene spontanea.”
Ma non è finita qui, perché come ogni live che si rispetti la band concede due bis, chiudendo la serata con un altro pezzo caro agli affezionati di Galoni, “Nobel”, preceduto da quello che a mio parere è una delle canzoni più belle di “Incontinenti alla deriva”, ovvero “Trattato monetario”, il cui ritornello recita: “La vera fregatura della moneta unica non sono mica queste mani vuote / è la gente che ha paura di scrivere una dedica, un aforisma sulle banconote.” Non ci avevo pensato, ma è proprio così. “Non girava solo una banconota, ma un pensiero, un’idea. Stasera facciamo ripartire questa tradizione, rimettiamo in circolo i pensieri, i ricordi” e con queste parole sfila dalla tasca una banconota da 5 euro con su scritto un pensiero, lanciandola nel pubblico insieme a una penna, invitando tutti a fare altrettanto: scrivere un pensiero, quello che si vuole e poi magari prendersi qualcosa da bere, facendo così circolare le idee, e chissà fin dove potranno arrivare. Da ora in poi, quando vi danno il resto, fate caso a cosa mettete nel portafoglio.
Il palco è ormai vuoto, Galoni e i suoi se ne sono andati fra gli applausi. E io mi fermo a riflettere su questa paura. Chissà perché la gente ha paura. Non lo so, ma ce l’ha. Ma so anche che la musica è uno dei modi migliori per combatterla, e penso che Galoni scriva canzoni proprio per questo. E speriamo che continui a farlo. Intanto voi, però, andate ad ascoltarvi “Incontinenti alla deriva”.
Testo di Malatesta, foto di Mattia La Torre