Occhi e orecchie incollati al palco per tutta la serata.
Non è così frequente, ma sabato sera al Monk è andata proprio così.
Non c’è niente di male se, durante un concerto, capitano dei momenti di stanchezza nel pubblico come riflesso della performance sul palco. Una canzone noiosa, un assolo di chitarra troppo lungo o delle parole poco comprensibili appoggiate a caso su un arrangiamento poco avvincente. Capita, anche ai migliori.
Sabato sera La Batteria è invece riuscita a creare uno show interamente strumentale che ha incollato il pubblico dall’inizio alla fine.
Si tratta di una band romana prog-funk che ha esordito con l’omonimo album nel gennaio 2015, una raccolta di brani originali ispirati al mondo delle colonne sonore e delle sonorizzazioni italiane degli anni ’60 e ’70.
Il pretesto per una serata del genere lo dobbiamo al nuovo disco, che è uscito per Penny Records/Goodfellas lo scorso 5 aprile: La Batteria II.
In continuità con il primo capitolo, la band capitolina ha confezionato un prodotto di qualità, costruendo una lunga colonna sonora che, in 30 tracce, ti porta dall’inizio alla fine di un film immaginario.
Sonorizzazioni diverse creano un percorso quasi onirico che la band ha cercato di ricreare quasi per intero durante il concerto. Meno graffianti dei Calibro 35 – impossibile non citarli – ma più raffinati e ricercati, La Batteria mi ha ricordato per certi versi il post rock dei God Is An Astronaut.
Azzeccatissimo inoltre l’opening di chitarra e voce di Evandro Dos Reis il quale ha incantato con una splendida voce appoggiata delicatamente al suono della chitarra acustica.
L’artista brasiliano, militante ne L’orchestra di Piazza Vittorio, ha riempito il locale di un’atmosfera carioca ed è tornato poi sul palco con La Batteria per riportare live il contributo che il suo cavaquinho ha dato anche al disco in Eldorado, uno dei pezzi migliori de La Batteria II.
di Damiano Sabuzi Giuliani
Foto di Davide Canali