Questo non è un report di un live, lo premetto. O almeno non lo è nel senso tradizionale del termine. Sono solo alcuni pensieri sparsi che ho raccolto nel tentativo di restituire, nero su bianco, un’esperienza molto personale.
“Ma forse poi stavamo meglio senza di noi”
Parto perciò da una importante premessa. Nell’ultimo anno avevo deciso di non ascoltare alcune cose, perché l’effetto di certa musica su di me era diventato deleterio. Basta roba “depressiva”, mi ero detta. Quindi basta Fine Before You Came. E avevo, infatti, avuto molta difficoltà ad ascoltare l’ultimo disco, Forme complesse.
Un disco, se possibile, ancora più intimo dei precedenti, realizzato durante il lockdown, mentre “siamo tutti a casa, con le nostre chitarrine… una cosa tristissima”, spiega Jacopo Lietti durante il live.
Ma facciamo un passo indietro. La prima volta che ascoltai un loro brano fu grazie al post di un amico su Facebook. Non li avevo mai sentiti nominare e, in realtà, pensai che Fine Before You Came fosse il titolo della canzone, perché era più molto lungo dell’altro, che allora mi sembrò essere il nome del gruppo.
Non ricordo di quale brano si trattasse, probabilmente era tratto da Sfortuna.
Ascoltai i dischi precedenti, cantati in inglese, ma non mi piacquero. Cosa che ho provato a rifare diverse volte, anche di recente, ma niente.
Forse sono stati proprio loro a farmi convincere, in linea più generale, che un certo tipo di musica realizzata da artisti italiani, per me, funziona meglio se cantata in italiano.
Ovviamente questo non significa che non apprezzo diversi artisti italiani che usano l’inglese, alcuni anche molto. (Ma tutto questo è ovviamente un altro discorso). Forse, semplicemente, è che le urla di Jacopo penso arrivino da, e dentro, lo stomaco e preferisco parlino la lingua che meglio conosco.
Dall’ascolto di quel primo brano ho provato più volte ad organizzare un loro live in Calabria ma senza alcun successo, pur essendo le condizioni, in tutti i casi, senza evidenti ostacoli.
Credo che, negli ultimi 10 anni, non siano mai scesi più a Sud di Napoli/Caserta. E per me non è mai stato il momento giusto per partire e andare finalmente a vederli. Una cosa che solitamente succede con le grandi band internazionali.
“Capire se è facile quando calza a pennello oppure adattarsi alle forme complesse”
In questo strambo percorso che sto cercando qui, a caldo, di ricostruire, c’è da dire che negli ultimi mesi avevo superato una prova personale piuttosto importante: riuscire ad ascoltare Lista senza piangere. Forse, mi sono detta poi, i tempi erano maturi. Così, dopo l’iniziale scetticismo verso l’ultimo disco, ho deciso di riascoltarlo e li ho ritrovati. Acquaghiaccia e Forme complesse sono già destinate a rientrare nei loro pezzi “storici”.
Sono la quintessenza del loro modo di essere e del nostro modo di amarli. (“Battiamo i lividi per mantenerli sempre viola / per ricordarci che san fare ancora male” – Discutibile)
Ho sempre pensato che mi sarebbe piaciuto ascoltare la loro musica ai tempi del liceo. Come se quelle sensazioni che ci trovo dentro fossero adatte soprattutto ad un momento preciso della vita ormai molto lontano. E sarebbe stato perfetto viverle in quegli anni. Così pensavo.
(Questa cosa l’avevo già raccontata in una intervista realizzata con il loro batterista, Filippo Rieder, in occasione dell’uscita di uno degli ultimi EP del suo progetto VRCVS che potete leggere qui.)
Ma invece no, credo di aver finalmente capito che la loro rabbia, il disagio, le urla, la banalità del nostro comune quotidiano che raccontano i loro brani, l’uso assolutamente “personale” della costruzione delle strofe dei loro brani, sia maledettamente adatto alla maturità. Alle forme complesse. Così come lo è “adagiare cose grandi in piccoli gusci ” (Come alberi).
Perché la differenza, e unicità, del loro sentire, e del modo in cui lo esprimono, è in quel “ci cerco”, in quel “ci odio”. (“Quell’abbraccio in cui ci cerco quando gli altri non ci vedono / credo proprio voglia dire addio / è per questo che ci odio” – Nonsenso comune).
E i tempi forse erano maturi anche per andare fino a Rivoli e finalmente vedere un loro live (a 1.254 chilometri da casa).
Il suono è limpido e compatto. Sono una pigna. Del resto il loro motto è da sempre “I Fine Before You Came sono e saranno sempre Jacopo, Filippo, Marco, Marco e Mauro“.
Su questo nessuno ha dubbi. E anche questo aspetto si inserisce nel loro essere un capitolo completamente a sé nell’indie alternativo italiano. Non solo musicalmente parlando. Il loro essere schivi non è assolutamente questione di “posa”.
A fine live, infatti, sono loro stessi a farci domande e “darsi” al pubblico di affezionati rimasti in sala, inizialmente sperando in un rientro sul palco e poi affollando il banchetto del merchandising.
Ma niente bis, come era immaginabile. E come, del resto, ormai sappiamo che i loro live sono sempre pochi. E molto “selezionati” sono i posti dove si esibiscono. Così come selezionatissime sono le uscite pubbliche.
Niente interviste, niente comunicati stampa, niente annunci, niente videoclip, nessun canale social ufficiale attivo.
Negli ultimi mesi le loro news arrivano esclusivamente attraverso il loro sito e soprattutto grazie alla correlata newsletter. Stop. Sono così. I loro fan lo sanno e lo accettiamo tutti di buon grado.
Anche perché non c’è niente di meglio che aprire una sera la mail (o, fino a qualche tempo fa, Facebook) e trovare un loro brano nuovo, o addirittura un disco intero.
Scaletta purtroppo breve, anche quella al Circolo della musica, ma con qualche variante rispetto agli ultimi live. Una dozzina di brani, che privilegiano gli ultimi due dischi, Il numero sette e Forme complesse, ma con l’aggiunta proprio, e per fortuna, della straziante Lista e di alcuni brani tratti da due EP che ritengo fondamentali per il loro percorso creativo (ed il mio personale), nonostante siano appunto dei dischi “brevi” e non dei veri e propri album: Come fare a non tornare e Quassù c’è quasi tutto.
Ho provato a ricostruire una track list, credo sia molto imprecisa ed emozionale, o forse solo un altro “piano impreciso”, come tutto quello che ho scritto fin qui…
Piano impreciso
Acquaghiaccia
Gittana
Come alberi
Discutibile
Cogoleto
Forme complesse
Lista
Sequel
Distanze
Nonsenso comune
Intorno