Prima tappa: Londra. O anche la città dove suona chiunque, sempre, a prescindere dal tour o dal periodo dell’anno.
Che se ci vivessi probabilmente dovrei affrontare scelte atroci tutti i giorni sui locali con musica dal vivo da frequentare: la scelta vasta – e devastante – che offre la capitale britannica non è seconda a nessuno, e forse invidiabile anche oltre oceano.
La cosa bella è che, poiché gli inglesi tendono a essere pigri e tirchi, i tour delle band si concentrano spesso con più date sull’Isola, a distanza di pochi chilometri. In questo modo, la densità del pubblico nei locali si abbassa di conseguenza.
Qualche anno fa mi capitò di vedere sempre gli Interpol alla Roundhouse (che ha una capacità di meno di due mila persone) e qualche mese dopo secondi agli Strokes fra gli headliner del Primavera Sound a Barcellona.
Ed eccoci qui, freschino e raffreddore tipico di metà novembre, forse unico periodo dell’anno in cui l’Inghilterra non è iper-invasa di turisti. Primo dei due concerti alla Royal Albert Hall, un enorme complesso della seconda metà dell’Ottocento che ancora conserva fascino e lampadari.
In coda la gente ha il privilegio di poter accumulare i rimasugli di tutto il meglio dello street food: fish and chips, felafel, solo fish o solo chips, hot dog dei baracchini, cookies di Starbucks, caramelle dei supermarket indiani.
In apertura la bellissima Nilufer Yanya, voce calda, una giovane ragazzina vestita male (una giacca di velluto rosa che per fortuna non avrà il coraggio di indossare le volte successive), diretta e potente. E poi gli Interpol: seri, impeccabili, determinati.
Senza sbavature si portano a casa il primo concerto britannico, uno standard 7 + da cui è davvero difficile sradicarli. Sì, anche il nuovo disco sembra suonare molto bene, dalla più viscerale If You Really Love Nothing, alla rauca Complications. Lo si nota meglio al secondo concerto, sempre alla Royal Albert Hall, che procede si e no allo stesso modo: un’ora e mezza sindacale di concerto, con alcuni classiconi molto apprezzati, tra cui una sinuosa e ben accolta Public Pervert.
16 di novembre. Un pullman mi porta a Manchester in circa cinque ore per la terza data britannica degli Interpol. Piove a dirotto e l’acqua si sfrange contro il finestrino.
Il nuovo disco degli Interpol nelle orecchie: più sporco rispetto ai precedenti, più psichedelico (si può dire? O esiste una polizia del post-punk che adesso mi arresta?), come se i Tame Impala si fossero permessi di fare un salto durante la fase di composizione dei brani.
In queste ultime due date la band è stata elegante, raffinata, distaccata, eppure allo stesso tempo una macchina musicale laboriosa e intensa, ben lontana dalle atmosfere electro-fluttuanti che Londra sembra ben apprezzare ultimamente, proprio per questo risultati così devastanti.
Manchester. Si respira calcio un po’ ovunque e ti ritrovi nei bar sportivi dove tutti esultano per qualsiasi cosa, anche quando pensi di essere in un semplice supermercato. Ci sono bei palazzi, una statua molto umile in memoria di Alan Turing e anche l’O2 Arena dove suoneranno gli Interpol.
Controlli più serrati, un freddo boia, ancora Nilufer Yanya in apertura che sembra aver preso la mano con il vasto numero di spettatori a cui lei non è abituata. Gli Interpol, sempre vestiti di scuro, Daniel Kessler con camicia bianca e calzino rosso, sembrano avere studiato un live solido che, piccoli cambi di scaletta a parte, non modificano più di tanto.
Sam Fogarino è un motore che tiene insieme tutto, il leader Paul Banks di un carisma che gli basta accennare un sorriso, per fare la sua parte. Bisogna anche saperla decifrare, tutta sta freddezza, ma se siete di quel mood, un po’ stronzo insomma, allora gli Interpol non sono una band che può deludervi.
18 di novembre e mi trovo sempre sotto la pioggia, però quella di Dublino. Si paga in euro e non più in sterline e la gente si ammassa nei pub e ti parla come se fossimo in Isola a Milano.
C’è il sidro di mele alla spina ed è tutto fantastico, anche l’Olympia Theatre in pieno centro, dove gli Interpol non faranno una, neanche due, ma ben tre date consecutive.
Sempre bello vedere gli Interpol, band di fine compostezza come se fosse uscita da un film Antonioni, in location così belle, che non hanno nulla a che vedere con i festival e i locali isolati, con il Carroponte o il Fabrique di Milano. E vanno avanti così i concerti di un tour, quello di Marauder, che riesce a colmare spazi eleganti e teatri dove hanno suonato i più grandi.
Si scendono le scale dell’Upper Circle e si scorrono tre piani di foto in bianco e nero di glorie passate che hanno calcato il palco.
Ultima data a Dublino. Una storica The New si fonde perfettamente con la nuova Flight Of Fancy e tutto si conclude con la solita Slow Hands. Queste erano solo sei date del tour di una band che in fondo sappiamo che non riempirà mai uno stadio, che non sarà mai ai vertici delle classifiche.
Però… niente, ho visto gli Interpol in Inghilterra, Germania, Serbia, Spagna, Francia e chissà dove ancora: parte Slow Hands e guardali là intorno come ballano tutti quanti.
© Tutte le foto sono di Christie Goodwin/Royal Albert Hall