Dopo il live di Liberato sul lungomare di Napoli, è doveroso aprire una riflessione.
Liberato è un fantasma, nessuno sa chi sia, se sia un nome d’arte, un cognome o l’identificazione di un collettivo.
Le ipotesi si sprecano, chi è certo sia Livio Cori, chi include Mattia Boscolo nel collettivo, chi ci sente il gotha della produzione trap, electro pop italiana.
L’unico che sappiamo ci sia certamente è il mostruoso Martino Cerati alle luci, anche ieri sera un capolavoro di traduzione illuminotecnica del concetto di fumosità dell’artist* napoletan*.
Seguiamo le tracce del mistero e troviamo una grandiosa operazione di marketing, dove la conversione economica è data dalle visualizzazioni su YouTube, e dall’evento di ieri sera che ha portato 20 mila persone a Napoli, da diverse parti d’Italia, per l’inaspettata gioia di paninari, sfogliatellerie, pizzerie, b&b.
La maggior parte di questi ragazzi erano lì come delle novelle Barbara D’Urso alla ricerca dello scoop, della rivelazione; mancava soltanto in sovrimpressione il classico bannerino “dopo la pubblicità Liberato con nuove clamorose dichiarazioni”.
Ma storie instagram e dirette facebook, hanno sgonfiato minuto dopo minuto, con tenerezza, l’attesa.
Siamo davanti quella che potremmo definire la finanziarizzazione delle emozioni.
Viviamo l’epoca dei trasferimenti virtuali, della produttività on cloud, della cartolarizzazione dei mutui, dove esigere liquidità crea panico, bolle e crisi economiche mondiali.
Accade in questo mondo che 20 mila persone viaggiano, riprendono e attendono il vuoto.
Non sanno chi seguono, per chi macinano chilometri, sono disinteressati al contenuto, paradossalmente in maggioranza anche alla musica ed ai testi in dialetto, è solo un semplice sottofondo.
A domanda rispondono che “Liberato interpreta tutte le nostre mode”, non c’è una condivisione, un sentire; non c’è una comunicazione. Tuttavia molta la delusione per una manciata di minuti di live, un contraccolpo sottolineato dalla lentezza e dal silenzio dei media e dei fan di questa mattina.
La cosa che spaventa di più è che in così tanti non abbiano mai preso in considerazione alcune ipotesi: e se Liberato non mi piacesse? E se i suoi modi di fare, i suoi pensieri non fossero condivisibili? Nessuno si ricorda più il caso Cambogia? Se fosse un gigantesco esperimento sociale per dimostrare la pericolosa facilità, con cui si può oggi creare un seguito, un novello Vello d’Oro?
Preoccupa che nessuno abbia pensato agli effetti della diffusione e celebrazione del concetto di anonimato ed omertà che promanano da una terra come la Campania, in una città come Napoli, in un paese dilaniato e ucciso mille volte dagli stessi. Per di più ostentati proprio il 9 maggio, anniversario della morte di Peppino Impastato ed Aldo Moro, vittime dell’anonimato e dell’omertà della mafia e dello Stato.
Le parole sono importanti.
Curioso, inoltre, che l’unico magazine autorizzato anche alla ripresa, seppur da lontano, è stato NSSMAG.com, una realtà da oltre centomila like, che si occupa di fashion, da sempre il mondo più interessato alle tendenze nell’ottica di conversioni e monetizzazione.
A leggere l’intervista rilasciata da Liberato su Rolling Stone di un anno fa la carenza di contenuti e l’incredibile sciatteria nonostante la consapevolezza del proprio seguito, si ristabilisce un collegamento con buona parte del suo pubblico, che inizia a prendere la forma di una risposta.
Musicalmente si differenzia dai top charter Sfera Ebbasta e cloni per la non casualità della composizione, il maggiore gusto nella ricerca dei suoni, il dosaggio curato dell’elettronica. Nella struttura dei brani sono presenti passaggi ed aperture eco lontana di un grande pop.
Liricamente è lo sciorinamento di struggevoli emozioni adolescenziali enfaticamente gonfiate a dramma esistenziale, una bolla di due di picche da cui tutti siamo passati. Il tutto nel dialetto napoletano, utilizzato in un modo che napoletanissimi interpreti considerano il più bieco, vicino a Gomorra ma lontano da Napoli.
Nei video pubblicati, diretti da Francesco Lettieri, provocatoriamente, si spera, vengono rappresentati tutti i figli del consumismo e dei vicoli, la versione in HD e di alta borghesia di quei video come La ragazza con la smart che se da un lato fanno ridere, dall’altro sono oggetto di studio per la comunicazione di valori, atteggiamenti e relazioni sociali errate.
So già quali saranno le argomentazioni in difesa del misterioso partenopeo e gli attacchi che riceverà questo articolo, ma non credo che il futuro sia necessariamente la negazione del passato, la rottura più netta e lontana possibile dalla musica come l’abbiamo conosciuta.
Quella struttura sarà sempre il paradigma di analisi di ciò che sarà, al di là di cosa ne pensino i parassiti di Lamar.
Nemmeno può ridursi tutto al semplice fact checking, come già si sta verificando.
Il fatto che Liberato funzioni, abbia seguito e sia dal punto di vista commerciale fortissimo non è di per sé risposta.
Perché, se come questa società è abituata, dovesse prevalere, come sta prevalendo, la logica del “funzionamento”, verrebbe a perdersi, come si è persa, l’identità critica, la possibilità di analisi, di confronto e dialogo. Si perderebbe l’anima delle persone in cambio dell’omologazione, come formiche attratte dalla coca cola.
Se a dare fondamento al pensiero saranno i numeri, allora avrebbe dignità anche una setta di 100.000 iscritti che propugna l’obbligatorietà di sputare in faccia a chi si chiama Edoardo.
Non voglio porre altre domande, ma provare a dare qualche risposta.
Liberato è l’esasperata testimonianza dei tempi, è frutto naturale dell’oggi.
Incorpora il bisogno di sensazionalismo, la morbosa curiosità, la pigrizia del pensiero; è veicolo di facile posizionamento ed accettazione sociale, è sfogo di quella mediocrità che non sa impegnarsi nell’espressione e si rifugia nell’io sono fatto così per sfuggire al confronto.
Linguaggio, musica e testi rispecchiano le letteratura dello slogan, oggi maggioritaria ed idioma più diffuso.
Liberato è l’iperindividualismo menefreghista, l’impersonalità del lavoro e del lavoratore; allegoria dell’automatismo, che svilisce il capitale umano.
Con basi, autotune e pad chiunque può essere un artista, intercambiabile a tempo determinato.
Non c’è da sorprendersi, Liberato è perfettamente nella sua epoca come lo era Claudio Villa. Il problema non è lui/loro, il problema è che mancano Brian Epstein, George Martin ed Enrico Berlinguer.