Si è conclusa al TPO la Grande Festa di Panico, rassegna musicale durata quattro giorni, ideata per celebrare il nuovo sodalizio tra Panico Concerti e Modernista: un’unione nata con l’obiettivo di fondere le peculiari specializzazioni delle due agenzie (booking e management) per ampliare il loro raggio d’azione nel settore musicale.
Le due serate della Grande Festa di Panico di venerdì 13 e sabato 14 aprile hanno visto protagonisti esponenti, più o meno noti, della scena che, per semplificare, potremmo definire indie-rock italiana, nonostante l’ampio ventaglio di attitudini e sonorità. Tra questi: I Camillas, Pop X, Altre di B, Colombre e Francesco De Leo.
La Grande Festa di Panico al TPO: il docu-verità
Venerdì 13
Ore 21.00, varco la soglia di un TPO praticamente deserto a ritmo delle prime note della band che dà inizio alla festa: i Pashmak, gruppo milanese tra l’elettro-pop e l’art-rock che sarebbe anche valso l’ascolto se solo non fossero stati tutti ancora a casa per cena. Dopo di loro, è la volta dell’eccentrico Johann Sebastian Punk, al secolo Massimiliano Raffa che, al secondo pezzo, si sfila il giubbotto per sfoggiare una mise ultra glam che fa andare in visibilio la folla. Un rock decadente e malinconico che inizia a far vibrare il TPO, mentre le genti cominciano finalmente a confluire verso il locale.
La serata inizia a scaldarsi e le gole a seccarsi e mi godo l’elettronica sperimentale di Angelo Sicurella con un buon gin tonic in mano (buono davvero). Il suo album da solista Yuki O è un mix ben riuscito di voce melodica, synth e drum-machine che riesce a tenere inchiodati a sé occhi e orecchie della platea.
Sale sul palco San Diego e i gin tonic salgono a due. San Diego è una delle mie personali scoperte degli ultimi mesi; immeritatamente meno conosciuto di tanti (inutili) altri, questo secondo live al quale assisto riconferma l’idea che mi ero fatta: un godibilissimo connubio tra cantautorato italiano e dance anni 80.
Col cambio palco e la comparsa de I Camillas sulla scena, ha inizio il delirio. La band più anomala e stralunata dell’indie italiano dispensa buonumore e il mood al TPO inizia a farsi scanzonato, in attesa dell’attesissimo finale.
Scatta l’ora X: infatti arriva lui, o loro, non ho ancora capito, comunque Pop X. E non mi è chiaro se lo amo o lo odio ma una cosa è certa: è un genio.
Del male, forse, ma ugualmente un genio. Irriverente, trash, dissacrante, pop, elettronico, indie, punk, tutto insieme. Capace di traghettarti in un viaggio allucinante e allucinogeno, a ritmo di pezzi che hanno tutti una cosa in comune: la parola “explicit” vicino al titolo. Portano sul palco i brani del nuovo album “Musica per noi” (più qualche intramontabile come “Secchio“) e giù dal palco la solita esaltazione collettiva, pogo compreso.
Ore 02.00, forse più tardi, probabilmente più tardi, si chiude il sipario sulla prima serata de La Grande Festa di Panico al TPO.
Black out.
Sabato 14
Ore 21.30. Penso di essere in ritardo ma, in realtà, al mio arrivo, la scena è più desolante di quella della sera precedente: locale vuoto e nessuno sul palco. Ondeggio da un piede all’altro cercando di darmi un tono e rimpiango la mia decisione di non aver mai iniziato a fumare. Prendo al bar una birra che terrò in mano così tanto da farla diventare brodo di pollo.
I primi gruppi, ammetto, non riescono a destarmi dal torpore. L’elettronica un po’ dream pop dei Makai, risulta sufficientemente gradevole ma non abbastanza da rimanermi impressa e, di certo, non da entusiasmarmi.
Poi è la volta di Sara Ammendolia, in arte Her Skin, giovane cantautrice folk modenese, delicata e malinconica. Si esibisce con la chitarra e una voce lieve su un palchetto allestito vicino al bar. Piacevole ma non adatta al contesto, forse.
Come non adatta risulta, a mio parare, la quarta esibizione: Halfalib (Marco Giudici). La critica da più parti dice di lui “sperimentazioni sonore e dolcezze pop” ma io alterno momenti di incredulità a risate che trattengo a fatica a causa delle stecche che tira.
Tra i due ospiti del palchetto-vista-bar si esibisce, sul main stage, Giovanni Succi.
Succi è un personaggio non affabile, controverso, cinico. Si presenta sul palco col cappuccio della felpa in testa che si toglierà solo verso la fine, probabilmente per il caldo. A essere onesta non riesco a capire se sia ubriaco o meno ma probabilmente è solo la sua attitudine al limite del grottesco; un po’ il Bukowski della canzone italiana e infatti un brano del nuovo album “Con Ghiaccio” è proprio dedicato a lui.
A mezzanotte fanno la loro comparsa le Altre di B, per me sinonimo di garanzia assoluta e band senza bisogno di presentazioni ma facciamole lo stesso: realtà estremamente consolidata del panorama rock e underground bolognese (insieme dal 2005), vantano partecipazioni ad eventi come Ypsigrock, Sziget Festival e Primavera Sound. Impossibile non saltellare dall’inizio alla fine, soprattutto quando Giacomo (frontman) tira fuori lo xilofono: comincio a volare verso lo spazio interstellare e oltre.
E a proposito di “spazio interstellare”, dopo l’esibizione delle Altre di B, arriva il mio secondo momento tanto atteso della serata: Colombre. Due sere che lo vedo vagare al TPO, due sere che vorrei avvicinarlo per dirgli qualcosa, senza trovare niente di intelligente da dire.
Mi godo in primissima fila tutto il suo “Pulviscolo” (album d’esordio solista), eseguito con un candore da prima volta sul palco ma con una maestria che mette in luce i tanti anni di esperienza alle spalle. Quando ci regala “Senza un perché” di Nada, capisco di amarlo ma lui è innamorato di un’altra e niente, anche a sto giro ce ne faremo una ragione.
A mettere la parola fine a La Grande Festa di Panico, è Francesco De Leo, ex frontman de L’Officina della Camomilla, appena uscito con il suo primo album solista “La Malanoche“. Antipatia abbastanza gratuita, millanta problemi tecnici che probabilmente percepisce solo lui e prende a calci cose sul palco. A parte ciò, bello il nuovo disco, bella l’improvvisata de I Camillas sul ritornello di “Muse” e bello il finale con “Un fiore per coltello“.
Finisce un po’ tristemente però questa grande festa, con De Leo che scappa dal palco salutando più per dovere che per piacere, lasciando un amplificatore acceso che crea un leggerissimo effetto disturbante. Ma io, con “Fuoritempo” (Colombre) già nelle orecchie e lo spray al peperoncino nella mano destra, me ne torno a casa, da sola, “alle tre di notte, che ce ne fotte” (cit. Canova).