Interviste e recensioni

Intervistiamo Marco Petrigno che ci presenta il suo album da solista

Intervistiamo Marco Petrigno che

Cantautore, polistrumentista e illustratore, Marco Petrigno sin da piccolo naviga tra la musica e il disegno facendo coesistere le due cose e lasciando che l’una ispiri l’altra.

Il suo battesimo musicale comincia con il punk ma presto B.B. King e il blues diventeranno la sua principale ossessione. Iniziano le prime collaborazioni e presto arrivano anche i primi esperimenti discografici e i tour nazionali e internazionali.

La lingua del Santo, il suo primo album solista, è un lavoro denso di significato, melismatico, ipnotico e mai scontato, trasversale ma pur sempre vicino alla tradizione italiana della canzone. Un disco dove regna la canzone nella sua più alta espressione, la poesia ma anche il delta blues e l’elettronica, il noise e la furia ma anche la dolcezza, l’incondizionato amore e il dolore per la perdita di un caro amico, il gospel, il voodoo, gli incubi, le tragedie, la bellezza dell’oscurità, l’apocalisse dei tempi odierni, la morte, l’autodistruzione, il cielo, il mare e l’inferno.

“La lingua del Santo” ci ha piacevolmente colpiti e per questo abbiamo deciso di  fare qualche domanda a Petrigno.

Marco Petrigno

 

“La Lingua del Santo” è il tuo primo album solista. Com’è stato intraprendere questo percorso da solo, dopo le tue esperienze con altri artisti e band?

 

È stato naturale. Un bisogno naturale. Mi sono allontanato da tutto e da tutti e immerso nei boschi della Tolfa ho cominciato a buttare tutto fuori. Non c’era nient’altro che la mia musica e la mia anima. Non è stato un cambiamento, solo una cosa normale.

 

 

La musica e il disegno sembrano essere due parti imprescindibili di te. In che modo questi due mondi si intrecciano nel tuo lavoro, sia musicale che visivo?

 

Sono due cose diverse quanto uguali. Tutto viene, in entrambi i casi, da sogni, idee, pensieri, visioni. È diverso solo il modo di esprimere, anche se, a volte, da una cosa viene sia la musica che il disegno.

 

 

Molti temi forti emergono in “La Lingua del Santo”, come il dolore, l’autodistruzione e la solitudine. Come hai trovato il modo di tradurre queste emozioni così intense in musica?

 

Mi sento ripetitivo, ma , anche lì , era tutto naturale, non c’era alternativa positiva che non contemplasse altrimenti. Ad un certo punto devi per forza scaricare. Devi risolverti in qualche modo anche per poco, ma devi. È un processo lungo e doloroso, cantare o scrivere o suonare alcune cose è fortissimo e doloroso , ma devi. Io ho la fortuna di avere molti modi per sfogare tutto. Sono grato per esserci riuscito. Sono grato e mi sono grato.

 

 

l tuo album è molto eclettico, mescola elementi di blues, elettronica, noise. Come definiresti il suono di “La Lingua del Santo”?

 

Non lo saprei definire, credo che un suono abbia chiamato l’altro. Credo sia solo come un fiume che scorre e, senza sapere dove andrà, ci va e basta. Perché quella è la strada, perché quella non puoi cambiarla, ti si appiccica.

La lingua del Santo_copertina del disco

 

 

Parlando di “Nella Folla”, il singolo che ha anticipato l’uscita dell’album, c’è una forte sensazione di solitudine anche in mezzo ad una folla. Come ti relazioni con la solitudine nel contesto della società moderna?

 

Non mi relaziono tantissimo, sto parecchio da solo, parlo si con persone ecc. anche in cucina ( sono anche uno chef) ma non vivo male la mia condizione di solitudine interiore, una cazzata solita ma che racchiude tanta verità è che se non sappiamo stare da soli non possiamo stare con nessuno.

 

 

 

La collaborazione con Valerio Mina ha giocato un ruolo cruciale in questo album. Com’è nata questa collaborazione e in che modo la sua visione musicale ha influenzato il risultato finale di “La Lingua del Santo”?

 

Ero con le spalle al muro, sono scappato da Palermo , mi sono chiuso in un bosco del Lazio, scrivevo, suonavo, Valerio era un amico da quando ho memoria musicale, è stato il primo che ho sentito e da lì l’unico. Ci siamo subito intesi, il mio dolore era condiviso con il suo. Ha messo se stesso come fosse stato lui stesso a scrivere. È stato un dono. Lo rifarei miliardi di volte, e ad ora , non potrei mai pensare a nessuno che non sia lui a lavorare alle mie cose.

 

 

Hai mai pensato di portare “La Lingua del Santo” anche in un contesto visuale, come un’esperienza che mescola musica e arte visiva, visto il tuo legame con il disegno e l’illustrazione?

 

Mi hanno spesso chiesto di rendere ” la lingua del santo” una storia illustrata , magari accadrà, magari no. Molti dei miei lavori lo sono già. Non saprei.

 

 

Qual è il messaggio che speri di lasciare con questo lavoro, non solo dal punto di vista musicale, ma anche umano ed emotivo?

 

Il messaggio è diretto a me. Ho fatto tutto questo pe me. Certo il fatto che piace o viene ascoltato da tante persone è meraviglioso. Ma ad essere sincero io non volevo spiegare, raccontare, o dire nulla a nessuno se non a me. Ho cominciato a pensare a questa cosa solo dopo essermi liberato da tutto. Adesso a mente lucida sono felice se questo lavoro, questo dolore in musica , possa fare del bene o anche solo pensare. Tutti siamo sottoposti a dolori enormi. Dovrebbe ogni singolo individuo riuscire a sintetizzarlo in qualche modo.