L’8 marzo per 42 Records è uscito Vivo di Notte, il singolo che anticipa l’attesissimo nuovo album de I Quartieri. In primavera ancora qualche sorpresa, prima di poter ascoltare l’intero lavoro dopo l’estate.
Nel frattempo abbiamo intervistato Fabio Grande, frontman della band, per farci raccontare qualcosa in più su una band che fin dal suo primo album, Zeno, si è imposta sulla scena romana (e oltre) grazie ad un’attitudine cantautorale molto particolare. Un cantautorato 2.0, appunto, che raccoglie l’importante eredità del passato e si apre ad influenze d’Oltreoceano.
Chi sono I Quartieri?
Ci sono io, Fabio, poi c’è Paolo Testa (tastierista e chitarrista) e Marco Santoro al basso. Attualmente il batterista che ha sempre suonato con noi non fa più parte della formazione e abbiamo un sostituto. Io suono da tantissimo tempo e ho avuto miliardi di progetti. Gli altri anche: ad esempio Paolo suona anche nei Lapingra e Marco è attivo nell’ambiente dell’elettronica underground. Suoniamo insieme da almeno 6 anni e ci troviamo particolarmente bene, condividendo un mondo comune di ascolti.
A proposito di gusti: cosa ascoltate e cosa vi ispira a livello musicale?
Tantissime cose e ultimamente ci siamo anche un po’ “allontanati”: io ascolto di tutto! Ti posso fare dei nomi, da Kendrick Lamar a Florence & The Machine, dai Radiohead a Damon Albarn… Pure Mengoni… Mi piace tutto. Tra gli italiani mi piacciono molto Edda e Maria Antonietta, con cui ho anche collaborato. Marco è più ferrato sull’elettronica massimalista, Paolo è molto anni ’90. Un bel mashup!
Vi possiamo definire in qualche modo un gruppo di cantautori. In questo nuovo album continuerete a cantare in italiano?
Assolutamente sì.
Cosa troveremo in questo nuovo album?
L’album è chiuso da tempo e rispetto al passato è nato molto più in sala prove. È più fedele a quello che siamo in grado di fare, mentre in passato vivevamo lo studio come un laboratorio. È un album più spontaneo, istintivo… Basti pensare che ci abbiamo messo 4/5 giorni a registrarlo.
Stiamo ascoltando a ripetizione Vivo di notte, il vostro nuovo singolo: innanzitutto i suoni sono più decisi, una batteria più prominente, il ritmo più incalzante. Si sente una certa maturazione da parte di tutta la band. Ce ne parli?
Per fortuna! Allora, la canzone la avevo da diverso tempo… Avevamo voglia di fare qualcosa con un ritmo più serrato e asciutto, forse anche dati gli influssi di Kendrick Lamar e altri. Dal punto di vista lirico parlo di una condizione vissuta lavorando di notte. Provo a raccontare le dinamiche esistenziali di chi “vive al contrario” e di cosa comporta questo nelle relazioni con gli altri. Il non allinearsi con i ritmi e i tempi degli affetti pur volendo esserci, il non farcela fisicamente nonostante la volontà. Una condizione che vivono in tanti, fra l’altro. Dagli infermieri, ai fornai… Un mondo.
Nell’album nuovo troveremo delle collaborazioni? Se no, con chi vorreste collaborare?
Niente collaborazioni, ma se fosse vorrei collaborare con Edda.
Alcuni vostri brani sono stati utilizzati come colonna sonora di Suburra, sia stagione 1 che stagione 2. Voi siete una band al 100% romana, nati in un periodo di particolarmente fermento musicale in città. Come pensi sia la scena romana musicale indipendente nel 2019? Quali artisti pensi siano da seguire?
La scena esiste ed è folta. Sicuramente, in generale e non solo a Roma, sono cambiate le regole. Adesso gli step di una carriera, l’evoluzione di un artista è molto differente. Si progetta un percorso musicale per arrivare da qualche parte ben prima di nascere. Ha una logica di mercato, ma mette spesso da parte altri aspetti. In ogni caso, chiunque faccia musica, qualunque siano i risultati a cui ambisce, merita attenzione.
A Roma c’è tanta gente che suona e fa canzoni. Se ti dovessi dire qualcuno da seguire, probabilmente è Barberini. Purtroppo poi io sono pigro e vado poco ai concerti. Di recente però mi ha fatto molto piacere sentire Dino Fumaretto (anche se non è romano): cinque musicisti molto preparati, con un’idea molto forte dietro e un pensiero artistico che va in profondità.
Ho la sensazione che ci siano delle “cellule dormienti” che in questi anni si sono mosse per tutti questi anni per fare qualcosa, anche se schiacciate dal fenomeno gigantesco dell’It-Pop. Una lotta impari. Come tutti i fenomeni discografici, quest’ultimo è destinato a finire con una parabola discendente e forse si sta riaprendo ad altre esperienze.