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|Interview| Hesanobody: calabrese cresciuto a pane e Queen, firma con etichetta inglese e sogna un feat. con Jamie XX

Calabrese trapiantato a Milano, sotto un’etichetta londinese. Un po’ un casino, come la sua musica del resto, che è un dream pop condito di post-punk. Una voce che richiama tutta la scena britannica in cui spiccano Editors e White Lies, ma un’innegabile attitudine dance.

 

Ha festeggiato il Natale qualche giorno di anticipo con la sua “Night 23” e suona un po’ come un feat. fantascientifico tra James Blake, Interpol, Depeche Mode e U2. E suona molto bene. I suoi singoli sono passati tutti dalla Italians Do It Better di Spotify, ma lui è un umilissimo Hesanobody e abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lui.

 

Da dove arriva il nome Hesanobody?

Hesanobody è un monito a me stesso, oltre che una sfida. Sono una persona qualsiasi, un nessuno”. Parto da questo dato di fatto, lo indago e probabilmente sotto sotto combatto per sovvertirlo.

Sappiamo che prima ti chiamavi in modo diverso, no? Che fine ha fatto HAN?  Sono due capitoli distinti e separati dello stesso progetto?

Sono lo stesso identico capitolo in realtà, HAN era appunto l’acronimo per ‘He’s A Nobody’. Trovo che il nome per esteso funzioni di più, oltre ad essere meno soggetto ad omonimie.

Sei al secondo EP, ne progetti un terzo? A quando un album? Perchè questa scelta di frammentare in “piccole uscite” la tua produzione?

Progetto di chiudere la trilogia iniziata con ‘The Need To Belong’ l’anno prossimo. Ho alcuni brani da cesellare e sono proprio in questo periodo in fase di ricerca per capire con certezza in che direzione li porterò. Nella mia testa il prossimo EP suonerà  in maniera abbastanza diversa rispetto a ‘The Night We Stole The Moonshine’. Per l’album al momento non ci penso, preferisco procedere con ordine, anche se ovviamente è nella mia lista dei desideri! Al momento prediligo delle pubblicazioni più brevi, ma con un concept da evolvere, in modo da raccontare una storia che continui nel tempo. Ad oggi troverei un po’ pretenzioso proporre 10-12 brani al pubblico tutti in una volta .

La tua etichetta discografica è la Street Mission Records, una sub-label della PIAS. Come ci sei arrivato? Come ti hanno aiutato?

Dani di Street Mission mi ha trovato su SoundCloud e mi ha contattato tramite Twitter. Dopo un iniziale e breve scetticismo, ho accettato la sua proposta ed oggi mi ritrovo qui a ringraziarlo ogni giorno per il supporto e per le opportunità che mi ha regalato. Ho praticamente carta bianca, tanta fiducia e qualche soldo da investire sulle mie idee. Non potrei chiedere di meglio.

Domanda scontata ma necessaria. Com’è far musica in inglese, in Italia?

Non saprei rispondere! Di sicuro ti ritrovi con molta più gente che ti chiede perché non canti in italiano, rispetto ad un tedesco o ad un francese che cantano in inglese nel rispettivo paese.

In Italia, ci sono cose come la playlist Italians Do It Better di Spotify o realtà come Italy Music Export. Segno che sta cambiando qualcosa, oppure comunque non siamo ancora pronti?

Secondo me siamo pronti, lo credo e lo spero. Escono sempre più progetti credibili e vendibili a livello internazionale qui in Italia. Probabilmente per fare il salto di qualità c’è bisogno che si investa ancora di più nella promozione degli stessi e che nascano ancora più iniziative come IME.

C’è qualche altro tuo collega che canta in inglese e che ti piace?

Assolutamente, la playlist Italians Do It Better è piena di artisti fighissimi come Joan Thiele, la mia quasi omonima HÅN o Sacramento.

Una delle tue canzoni più orecchiabili è senza dubbio ‘Cliché. Di cosa parla? Quando parli di perdere il controllo, a cosa ti riferisci?

‘Cliché‘ parla degli inizi di una relazione, di quel periodo dove si va avanti coi piedi di piombo per non rischiare di rimanere fregati o col cuore spezzato dalle aspettative e dove si indossano maschere ed armature perché non ci si fida ancora abbastanza da mostrare le rispettive crepe. La perdita del controllo è la fine di tutte le tattiche e i giochetti che appunto contraddistinguono le battute iniziali di una frequentazione che comincia a diventare qualcosa di più. La fine di una serie di cliché che diventa cliché a sua volta.

Hai un timbro alla Editors, e allo stesso tempo un bel tappeto elettronico. Hai dato una bella svecchiata agli anni  ’80. Quali sono i tuoi riferimenti musicali?

Davvero li avrei svecchiati? Mi lusinga, ahah! Sono cresciuto a pane e Queen, U2, Bowie, per poi innamorarmi di Radiohead, Battiato e Depeche Mode ed infine scoprire un certo hip-hop con Kanye West. Questi artisti sono di certo le mie stelle polari, ma sono di vedute abbastanza aperte e pieno di curiosità, quindi macino molti ascolti della roba più disparata che anche inconsciamente mi influenza durante il processo di scrittura.

È di recente uscito un remix del tuo ultimo singolo ‘Mourning The Ghost’. Come è nata quest’idea? Ci parli di questa collaborazione? Ce ne saranno altre?

È nata dalla stima reciproca che io e Daniele (Giustra) nutriamo. Lui era molto interessato a mettere le mani su ‘Mourning The Ghost’ ed io fiduciosissimo che avrebbe tirato fuori una bombetta. Mi auguro vivamente che la collaborazione porti altri frutti!

E il remix dei sogni su un tuo brano, da chi dovrebbe essere fatto?

Amo Jamie xx, quindi a bruciapelo direi lui senza dubbio!

Da grande cosa vuoi fare? Sei sulla strada giusta?

Questa è la domanda da 1 milione di dollari, vero? Ahah! Vorrei lavorare nel mondo della musica, quindi più che di strada parlerei di labirinto. Non ho intenzione di mollare il filo e perdermici, mettiamola così.

 

di Smoking Area