La forza degli Amandla sta senza dubbio nei testi viscerali, universali, così semplici e diretti.
In “Spine”, sesta traccia del loro disco d’esordio dal titolo “Non Ci Pensare”, arriva un “Oggi sei sola”, tre parole, un verso che è uno schiaffo in faccia, sincero e caldo, in grado di uccidere dentro ogni ascoltatrice, che riporta a galla vecchie storie maledette, di cui neanche credevamo di sentire la mancanza.
Un album dalle sonorità pulite e semplici, che non esagera mai, un pop che rifiuta synth e tastierine e privilegia le buone e vecchie chitarre. Dopo aver ascoltato “Non Ci Pensare”, vorremmo solo che questa band comasca splendesse come meritano tra tutti i vari gruppi di bellocci con i testi in italiano.
Vorremmo che quel sincero e distruttivo “Oggi sei sola” sostituisse tutti i più falsi e ruffiani “Vorrei Morire” dei Canova, solo per citarne una. Vi consigliamo di ascoltare per credere e, intanto, il cantante della band, Gabriele, non ha perso occasione dire la sua in quest’intervista.
Esiste una scena musicale di Como? Chi ne fa parte? Sentite di farne parte?
Gabriele (Amandla) : Sì, mi sento di dire che esiste una scena musicale a Como. Non faccio nomi per paura di dimenticarmene qualcuno e non vorrei mai fare un torto a un nostro amico/collega. Ovviamente anche noi facciamo parte di questa scena musicale anche se meno coesa di altre realtà e questo si traduce come un’appartenenza più simbolica che pratica. Nel mio cuore c’è anche un piccolo spazio dedicato al Joshua Blues Club, un circolo ACSI ad Albate (CO) fondato poco più di un anno fa da Alessio, Gigi e Luciano. Molto velocemente questo locale si è fatto conoscere per il clima amichevole e per la costante della musica dal vivo.
Vi presentate a chi non vi conosce?
Ciao, noi siamo gli Amandla. Scriviamo canzoni tristi ma ci piace divertirci sul palco. Venire per credere! Bisogna dire che “Amandla” in swahili significa “unione e forza” anche se il vero motivo per cui ci chiamiamo così è un’omonima birreria di Cermenate dove andiamo spesso, è da lì che viene il nostro nome.
Che ascolti e formazioni vi hanno portati al sound degli Amandla?
Bella domanda. Direi sicuramente che un ascolto comune a tutti e quattro sono i Ministri e anche il torinese Daniele Celona. Aggiungerei i Subsonica, alcuni aspetti dei Negramaro, Motta, Niccolò Fabi e Marta Sui Tubi. Ci piacciono tutti quei gruppi che dedicano molta attenzione ai testi integrandoli ad una musicalità mai scontata ma comunque diretta e sincera.
Siete amici? Migliori amici?
Certo che siamo amici, se non lo fossimo ci saremmo già uccisi a vicenda tanto tempo fa. Non penso sia possibile definirci “migliori amici” perché il rapporto che si ha con delle persone con le quali si passa così tanto tempo avendo lo stesso obiettivo comune assomiglia più a quello di una famiglia (con i suoi pro e contro).
Di cosa parla “Non ci pensare”? Ascoltando il disco sembra quasi che descriviate una relazione ideale, ma inafferrabile. Da qui un malessere generale, e universale.
In effetti “Non Ci Pensare” parla proprio di quello, una relazione ideale e inafferrabile e l’annesso malessere esistenziale, non avrei saputo dirlo meglio. I testi sono stati scritti nei due-tre anni precedenti alla registrazione di “Non Ci Pensare”, un lasso di tempo abbastanza ampio e pieno di alti e bassi I più didascalici parlano di qualcosa effettivamente accaduto che mi è rimasto impresso.
Mi piace l’idea di raccontare ciò che è semplice e quotidiano evidenziandone gli aspetti più profondi. Poi, in generale, i testi nascono per il 99% nel cuore della notte quando sono a letto. È il momento che preferisco per raccogliere le idee e rielaborare alcune cose che mi hanno colpito. Scrivo quasi ogni notte e quando gli astri sono clementi e mi sento particolarmente ispirato nasce una canzone.
Dove avete registrato il disco? Aneddoti dallo studio?
Abbiamo registrato il disco al Crono Sound Factory a Vimodrone (MI) sotto la guida di Simone Sproccati che si è occupato anche della parte di produzione. Non mi dimenticherò mai il sollievo dell’aria condizionata (l’abbiamo registrato a luglio), le pause pranzo col menù completo al bar dei cinesi vicino e soprattutto gli occhi dolci di Valvola, il vecchio cane che si aggirava per lo studio.
Domanda nerd: Che strumentazione avete?
Direi di partire della della chitarra elettrica: un memory man degli anni 90, un drive fatto a mano da Bandersnatch Electronics di Gabriele di Giacinto, il suono bollente di un voxac30. La ricerca del suono della chitarra elettrica ha sicuramente impiegato molto tempo (e denaro) ma ne siamo molto soddisfatti, non saremmo gli Amandla senza questa ricercatezza.
Aggiungo la presenza fissa della chitarra acustica come accompagnamento che gioca un ruolo importante per riempire e amalgamare. Linee di basso semplici e dritte che danno un’ossatura solida alle canzoni e una batteria nervosa e incalzante che movimenta il tutto.
“Non ci sono mani che non senta fuori luogo”, è uno dei versi che ci ha colpito di più dell’intero disco. Hai voglia di provare a spiegarcelo?
Ho imparato a mie spese che buttarsi nelle braccia della prima persona che passa dopo una delusione amorosa non è un’idea saggia. NCSM e FEBBRE parlano della sensazione di disagio quando ti rendi conto che la persona che stai frequentando non riesce a farti provare niente e le tue mani sul suo corpo (o viceversa) ti sembrano sempre nel posto sbagliato.
Questa condizione in una lettura più generale è pervasiva del resto dell’album. Non essere mai dove o come vorresti essere. Volere ciò che non riesci ad ottenere. Queste “mancanze” creano una tensione che a sua volta sta alla base dell’ispirazione artistica.
“Non puoi barare quando piangi” – “Vivo per confondere i miei simili”
C’è un po’ in tutto il disco anche questo accanimento costante dell’io delle vostre canzoni, quello del dichiarare che non ci si può nascondere più di tanto (anche se ci si prova continuamente), perchè alla fine dei conti tutto, emotivamente parlando, viene a galla. Impressione sbagliata?
Spesso abbiamo paura di mostrarci vulnerabili, è un discorso completamente sensato e adattivo. Il punto è che celando agli altri i nostri “difetti” è come se mentissimo e non imparassimo ad amarci per come siamo. Per questo sia nelle canzoni che nella vita reale mi prefiggo di essere sincero, di mostrare ciò che ci spaventa, ci fa star male. Nell’amore abbiamo la possibilità di metterci in contatto con un io senza filtri, quindi che siano lacrime di gioia o di dolore ci riappropriamo di noi stessi. Non necessariamente tutto viene a galla ma sono dell’idea che proprio come gli iceberg la parte più ingombrante sia sotto la superficie.
Quali sono invece i “consigli dei matti” di cui parli?
I “consigli dei matti” sono tutte quelle voci nella nostra testa che ascoltiamo quando prendiamo scelte che sappiamo già essere autodistruttive. Abbiamo sempre un motivo ma non è detto che sia il più logico.
Fate un pop molto particolare, si riesce tranquillamente ad accostarvi alla scena it-pop, ma un’intesa attitudine rock vi rende vicino musicalmente anche a tutta la scena vicina ai Ministri e Verdena. Vi riconoscete in questa descrizione?
Sì, ce l’hanno spesso fatto notare e ne siamo contenti (i Ministri e i Verdena sono entrambi nostri punti di riferimento). C’è qualcosa di più viscerale in un approccio definibile “rock”. Penso dipenda molto dal fatto che le canzoni nascano direttamente in sala prove. Si arriva con un’idea e poi la si sviluppa. Siamo molto lontani dall’immaginario it-pop dove si registra con synth e scheda audio nella cameretta.
Un featuring perfetto?
Che domanda difficilissima. Ora come direi Colapesce, sarebbe davvero un sogno.