19 album in studio, 8 album dal vivo, 6 EP e 11 antologie solo con i Diaframma, 6 dischi da solista. Federico Fiumani è sulla scena musicale italiana fin dagli inizi degli anni Ottanta. E non sembra avere nessuna intenzione di starsene da parte.
Uno dei musicisti più longevi e più coerenti della musica italiana, nonché padre fondatore della new wave in Italia, a metà gennaio è tornato a Roma con i Diaframma in occasione del tour de L’Abisso, il loro ultimo album in studio.
Ne abbiamo approfittato per fargli qualche domanda poco prima che i Diaframma salissero sul palco del Monk. Tra passato e presente e con un atteggiamento impermeabile alle mode del momento, Fiumani conferma il suo carisma e la sua coerenza artistica, sopra il palco così come nel backstage.
Partiamo dalla fine: come sta andando il disco e il tour con i Diaframma?
Abbastanza bene. Sono molto contento considerata la crisi del mercato discografico, una crisi generale che ha rivoluzionato il mondo della musica in cui ormai i dischi fisici praticamente non si vendono più.
Poi erano 5 anni che non facevo materiale nuovo, per cui era anche tanto tempo e hai sempre un po’ paura che la gente non si ricordi di te, o hai paura di deluderla.
Il mondo, anche la musica, si evolve molto velocemente.
Hai paura di essere un po’ fuori dal tempo, ti senti più isolato, ti senti di parlare un linguaggio che chissà se la gente che ascolta ora la musica avrà voglia di capirlo, di apprezzarlo. E invece devo dire che sono contento, che è andato molto bene, che è stato ben accolto.
Anche il tour. Circa 80 date, il che è un buon risultato.
Il catalogo dei Diaframma conta ormai una ventina di dischi con pezzi originali. Nonostante questo i primi dischi, come per esempio Siberia, Tre Volte Lacrime, Boxe, o l’EP Gennaio, sono i più conosciuti. Soprattutto Siberia, che di fatto mette in ombra tutte le altre pubblicazioni.
Sono molto grato. Una sorta di rivoluzione musicale la puoi fare solo a una certa età, cioè da giovane. Le rivoluzioni le fai da giovane quando hai l’entusiasmo e non tanto l’incoscienza quanto l’irruenza, la spavalderia tipica di quando hai 23/24 anni, che è l’età che avevamo quando abbiamo fatto Siberia. Che è un po’ l’età giusta per rivoluzionare le cose.
Ogni genere musicale è sempre in contrapposizione con quello che c’era prima, come il punk era una risposta al prog, il post punk era contro tutti.
Noi quando venimmo alla luce eravamo in piena epoca new wave e la nostra piccola rivoluzione l’abbiamo fatta perché portavamo musica di stampo anglosassone ma con testi in italiano, cercando di dire qualcosa di importante e fondamentale per noi. È giusto fare una rivoluzione musicale, farne una soltanto e quando è il momento giusto. A me basta averne fatta una e sono già contento.
C’è una riproposizione di questo tipo di musica in questo periodo. Ho notato che praticamente c’è un articolo che ricorda la scena new wave italiana (soprattutto quella fiorentina) degli anni Ottanta e Novanta sulle principali riviste cartacee di questo periodo. Se compri oggi Rumore, Classic Rock, Rockerilla ci sono diversi articoli che parlano di quel periodo.
Ormai il rock è storicizzato, è un genere che – con le dovute eccezioni – riguarda soprattutto i vecchi. La stessa stampa musicale la leggono ormai essenzialmente i vecchi. Per le nuove generazioni il cartaceo è qualcosa di estraneo, non fa parte della loro cultura. Anche Classic Rock parla dai 70 anni in su. Io son quasi un giovane su Classic Rock. 70-75enni, ormai il rock lo fanno loro.
Il rock è ormai un genere musicale abbastanza ghettizzato che riguarda persone piuttosto in là con gli anni.
Ovviamente fa piacere essere presente in queste riviste però il rock non ha più il valore che aveva negli anni 60-70 quando era eversivo, ribelle. Il chitarrista aveva un’altra attrattiva rispetto ad adesso. Oggi i giovani non suonano la chitarra.
Ho riascoltato di recente le primissime cover dei Diaframma ovvero quelle di Celentano (Una carezza in un pugno) e Equipe 84 (Io ho in mente te) e, nonostante il passare del tempo, è sempre un piacere sentirle. E questo mi porta alla domanda: se oggi dovessi fare una cover di artisti contemporanei cosa faresti?
Stimo un’infinità di gente. Ho fatto persino un disco di cover nel 2014 (ndr. Un ricordo che vale 10 lire), un omaggio alla canzone d’autore italiana, alcuni anche abbastanza sconosciuti ma che avevo amato io all’epoca. Dal vivo ultimamente abbiamo fatto Vita spericolata di Vasco Rossi. Poi un pezzo di De Andrè, La ballata dell’amore perduto. In questo momento preciso non saprei.
Se dovessi fare un concerto con qualcuno, chi porteresti sul palco?
Mi viene in mente Piero Pelù, è una persona con cui sono cresciuto. Con lui mi sento in sintonia, c’è un comune sentire sulla musica.
Recentemente è stato ristampato Neogrigio il tuo libro di poesie del 1983 e per l’occasione stai facendo uno spettacolo dedicato che si chiama “Neogrigio Night”. Puoi dirci qualcosa di più su questo show?
C’è una prima parte dove recito tutte le 30 poesie del libro su una base musicale. E una seconda parte con 10 canzoni del periodo 1982-84, quindi il primissimo periodo post punk dei Diaframma, quando cantava Vannini. Faccio quelle 10 canzoni in versione un po’ elettronica: chitarra e componenti elettroniche. Queste 10 canzoni sono la colonna sonora del periodo in cui concepivo il libro e scrissi quelle poesie. Quindi la versione musicale erano quelle 10 canzoni, un po’ un ritorno al passato.
Abbiamo fatto la prima al Glue di Firenze il 9 gennaio. È andata bene, siamo contenti. Faremo 7-8 date.
Oltre ai Diaframma, hai in cantiere altri progetti da solista?
Io sono un solista nella misura in cui mi porto dietro una storia di 40 anni. Ma i concerti li facciamo in quattro e mi trovo molto bene con questi musicisti. Per me la situazione ideale è questa qui, posso spaziare in tanti anni di carriera con grande libertà. Non ambisco a situazioni o progetti diversi. Suoneremo fino a quest’estate e poi vedremo cosa sarà, magari lavoreremo a un album nuovo, vedremo.
Dato che le reunion vanno di moda ormai, pensi che ci sarà mai una reunion dei Diaframma con Miro Sassolini ad esempio?
La musica ha un che di sacro. Se io provassi a far qualcosa con Miro, avrei un po’ timore di avvicinarmi a quel periodo. È stato un periodo molto importante, quasi sacro, non vorrei sputtanarlo con rimpatriate che mi saprebbero di corruzione. Allora preferisco lasciarlo lì quel periodo, senza toccarlo piu. Preferisco. Ho una sorta di soggezione. È stato un periodo importante, non conviene rovinarlo. Se qualcuno vuole ascoltarlo, ascolta i dischi.
Intervista di Damiano Sabuzi Giuliani e Eliana Quattro
Foto di Davide Canali