I Pillheads sono Paolo Baltaro (voce e chitarra) e Daniele Mignone (basso), con Dario Marchetti alla batteria.
In occasione dell’uscita del loro ultimo singolo, Domani voglio farlo ancora, abbiamo intervistato i Pillheads.
Questa band milanese ha decisamente uno sguardo Oltremanica e rappresenta un modo molto personale di fondere la forza granitica del rock e l’armonia del pop britannico (ispirandosi a pilastri come Beatles, Led Zeppelin e Pink Floyd).
I testi, invece, si rifanno esplicitamente alla tradizione del grande cantautorato italiano, focalizzando aspetti e storie della vita contemporanea, costantemente in bilico tra mondo reale e mondo virtuale.
Ogni brano ha anche una versione gemella in lingua inglese, che verrà pubblicata successivamente.
Avete voglia di raccontarci come avete deciso, e quando, di diventare i Pillheads?
L’ occasione venne dall’incontro con Phil Strongman (stretto collaboratore di Malcom McLaren e regista ufficiale dei Sex Pistols) con il quale stavamo lavorando per un film.
Per presentare i brani che avevamo scritto per l’occasione si formarono i Pillheads (fu Phil stesso a suggerire il nome), che vedevano inizialmente Paolo Baltaro alla batteria e voce, Daniele Mignone al basso e Joe Dochtermann alla chitarra.
Diversi amici presero poi parte al progetto, fra cui Simone Morandotti, Fabrizio Consoli, Andrea Beccaro e Andrea Orrù. Successivamente Paolo passò alla chitarra e si cominciò a scrivere nuovi brani in italiano. Dario Marchetti si unì alla batteria e ci trasformammo nell’attuale trio.
Viste anche le vostre influenze musicali, che comprendono anche Led Zeppelin e Pink Floyd, non rimane che da chiedervi se avete anche qualche influenza più contemporanea.
Sarebbe inutile, siamo noi stessi l’elemento contemporaneo della nostra musica. Le influenze sono solo le cose che ci hanno fatto innamorare della musica da bambini..
Esiste ancora una scena rock o alternative in Italia?
Non ne abbiamo idea, la domanda è troppo difficile… Forse ce ne sono più d’una ma è difficile vederle, di questi tempi.
E la vostra scelta di pubblicare anche i brani in inglese?
A dire il vero, noi siamo proprio partiti con l’inglese. Per circa due anni, con un disco live su vinile e molte date specialmente tra Londra e Berlino, i Pillheads erano un progetto in lingua inglese.
Oggi produciamo in due versioni sia perché non abbiamo abbandonato la scena europea e chi ci seguiva in lingua inglese, sia perché ci piace dare due punti di vista complementari ai nostri brani.
Come sta andando finora? Prossimi passi?
Siamo felici di ciò che facciamo, non ci serve altro. I prossimi passi, a parte vincere un Grammy, sono in direzione ostinata e contraria, come disse un grande artista anarchico.