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|Interview| Nicolò Carnesi ci presenta “Ho bisogno di dirti domani”

Cantautore eclettico e di chiaro talento, l’11 ottobre è uscito il suo nuovo album, Ho bisogno di dirti domani, per Goodfellas/Porto Records. 

Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Nicolò Carnesi sul suo nuovo lavoro.

Di te ci ha sempre affascinato l’eclettismo. Ogni tuo album è stato travolgente, allo stesso tempo una conferma della tua bravura e una sorpresa dal punto di vista sonoro. Cosa ci dici di questo quarto album, Ho bisogno di dirti domani?

Mi piace sorprendere e sorprendermi, scoprire nuove facce ed andare oltre a quello che c’è e so già, che poi rischia di annoiare. È chiaro che rimangono fissi alcuni mondi sonori.

In questo disco l’idea principale è quella di raccontare attraverso il tempo una relazione. Il disco è molto incentrato sul concetto di tempo e ho cercato di farlo anche giocando molto su vocalità e chitarre, che ticchettano continuamente come farebbe un orologio.

In Ho bisogno di dirti domani c’è tanta sperimentazione con la voce: in due pezzi canto proprio in maniera diversa, esperimento iniziato un po’ con Motel San Pietro, che potrebbe essere il sequel (anche se uscito due anni fa).

Ci hai appena detto che ti piace sorprenderti e non possiamo non pensare a Turisti d’appartamento, che parla proprio dell’importanza di reinventarsi, anche a partire dal proprio contesto. Perché spesso la novità, il gancio verso qualcosa di diverso è proprio lì dietro l’angolo…

Il contesto più comune per tutti noi è proprio quello casalingo, la nostra comfort-zone, che però può diventare anche il simbolo della nostra insoddisfazione, l’impressione di non muoversi mai da lì.

In particolare, ho vissuto questa dinamica anche in prima persona, in alcune relazioni. L’appartamento può diventare il simbolo di qualcosa che non va più.

Mi sono quindi chiesto come reinventare quel contesto, per cavarne il meglio, attraverso la musica e la fantasia. Non è una domanda a cui ho trovato una risposta, come dice la canzone alla fine…

Invece il tuo secondo singolo, Borotalco, è rappresentativo di questa tua capacità innata di fissare nella musica, con suoni e parole, immagini vivide, che sembra quasi si possano toccare, sentire con tutti i cinque sensi. Mi racconti il percorso che ti porta a scrivere un brano?

Ci sono vari percorsi, non c’è una strada rettilinea. Restando sul disco, in questo caso è stato l’utilizzo del pianoforte.

Mi sono cimentato nella scrittura esclusivamente al pianoforte, tanto che per la prima volta dal vivo suonerò con la band.

Poi ho l’approccio nerd, mi piace scaricare un certo plug in che fa un determinato suono, comprare un tipo specifico di pedale… La prima fase di scrittura dei miei dischi è totalmente solitaria.

Ad esempio, Borotalco è nata da un giro di basso che mi suonava nella testa, nel mese di settembre. Un mese che per me ha sempre significato qualcosa, è un mese agrodolce, che in questo caso mi a fatto riflettere sulla mia infanzia e sulla lotta interiore fra quello che è stato e quello che sarà.

Per gli showcase di Ho bisogno di dirti domani hai scelto una modalità molto interessante: ti farai intervistare da altri artisti, che sono soprattutto amici… Un’idea molto carina.

Sì, si crea un dialogo diverso rispetto a quello classico con un giornalista: più che di interviste si tratterà di dialoghi veri e propri. Sono tutti amici, oltre che artisti molto conosciuti, e mi capita di dialogare con loro di musica ma anche di altro.

Vorrei creare un’atmosfera di confronto nella quale il disco è un punto di partenza per parlare del concetto di tempo. Spero sarà stimolante per chi partecipa.

Tu vieni da una delle città che più amo: Palermo. Una città viva e vivida, vissutissima e con un panorama musicale decisamente interessante. Ci dici cosa sta succedendo adesso e secondo te chi dovremmo proprio ascoltare?

Ammetto che ho avuto un periodo in cui l’ho vissuta meno, perché stavo a Milano. Però Palermo per me è stata la base. Molte cose sono nate qui, a partire dalle amicizie e dai primi passi in musica.

Da quando mi sono avvicinato alla musica, è stata una città molto stimolante, perché piena di talenti della mia età o leggermente più grandi, che mi hanno costantemente ispirato. Si ascoltava musica insieme, si facevano jam, si scrivevano canzoni insieme… Momenti importanti che mi sono serviti molto.

Gli artisti che mi sono più vicini, anche a livello di amicizia, sono Dimartino, La Rappresentante di Lista, Fabrizio Cammarata

Rispetto alle novità, ci sono giovani promettenti. C’è un ragazzo che mi piace molto, che mi seguiva da quando ho iniziato a fare musica e ora fa musica anche lui. Si chiama Agnello, l’ho visto sul palco e mi ha fatto molto piacere. Ha pubblicato alcuni singoli per Garrincha Dischi e in uno di quelli ho fatto una piccola parte vocale. Ha molto da dire.

Tornando ai tuoi testi, colpisce questa sottile ironia, sei quasi cinico, o forse meglio dire disincanto? Non posso non pensare che questo atteggiamento venga dalla tua sicilianità, penso al gattopardesco “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”. Ma forse è anche la voce di una generazione, la nostra, che è stata delusa. Cosa significa fare musica da trentenne, nel 2019?

Fra l’altro sto dormendo nel palazzo dove è nato Tomasi di Lampedusa!

Non ho una risposta precisa, la passione rimane sempre la stessa, così come la voglia di scrivere. Ma quando ti confronti con il mondo, ti rendi conto di quanto sia cambiato.

Ho avuto la fortuna di iniziare molto presto: il mio primo disco è del 2012, avevo 23 anni e non esisteva nemmeno Spotify! Mi rendo conto adesso della difficoltà di entrare in alcune dinamiche che si sono create, come quelle delle playlist e dell’utilizzo dei social in un certo modo, cosa che ammetto non ho mai amato né saputo fare troppo bene…

I trentenni sono una generazione di mezzo, che si comprava i cd a quattordici anni e che ora si ritrova a fare le playlist di Spotify e non ha capito nemmeno come è successo.

Se ci pensi però noi abbiamo vissuto una delle rivoluzioni tecnologiche più grandi di tutte e possiamo raccontare il prima e il dopo.

 

di Veronica Boggini

foto di Stefano Masselli