Na Cosetta è un piccolo “Bistrot con l’anima da live club” nel cuore del Pigneto, a Roma.
Con i suoi oltre 200 concerti a stagione si è guadagnato la giusta notorietà anche al di fuori del Raccordo Anulare.
‘Na Cosetta, in questi anni è riuscita a creare infatti qualcosa di unico, mettendo al centro la musica dal vivo.
Per la bella stagione, a inizio giugno il locale guidato da Chiara Ioele, Luca Bonafede, Angelo Cocchini, Sara Colantonio e Stefano Cicconardi è passato dalla classica location in via Ettore Giovenale allo Snodo in Via del Mandrione: uno spazio all’aperto da fare invidia ad una classica Festa De L’Unità.
Qualche sera fa ho avuto l’occasione di intervistare Luca Bonafede, il direttore artistico, e abbiamo parlato a lungo della stagione appena conclusa e della musica live in Italia.
Com’è andata questa nuova avventura? Anche se forse è ancora presto per tirare le somme complessive, bilancio a caldo?
Non è un’avventura del tutto nuova in realtà, perché Na Cosetta inizia prima del Bistrot di via Ettore Giovenale e inizia in una festa di partito, il partito Sel che non esiste più.
Noi partiamo in piazza, una parte dei concerti li abbiamo organizzati anche noi. Il Bistrot nasce con quell’idea. Poi ogni estate abbiamo fatto una cosa, un anno anche in collaborazione con altre realtà.
Diciamo che siamo diventati bravi nel prendere gli spazi e rigenerarli.
Ogni anno prendere uno spazio e tirarlo su è la cosa più complicata. Anche l’anno scorso a Largo Venue non c’era niente, era il parcheggio di una fabbrica di bombole di ossigeno, non c’era né acqua né luce né fognature, niente.
Avete avuto anche dei problemi che vi hanno costretto a chiudere per qualche giorno. Com’è andato questo fuori programma e come avete vissuto questa pausa forzata?
Beh la pausa è quando tra fine primo tempo e inizio secondo tempo te ne vai negli spogliatoi. Questa mi è sembrata più un’espulsione, un cartellino rosso!
Al di là dell’enorme danno economico, è stato un danno anche gestionale: c’erano concerti organizzati da mesi, ci ha creato non pochi problemi.
Anche a mente fredda, vedendo da dove sono nati questi problemi (si parla di 4 estintori e 7 lucette di uscite di emergenze), un paese normale avrebbe detto “domani mi fate trovare questi estintori in più, queste luci qua e si riparte”.
Il problema è che siamo schiavi della burocrazia e per far ripartire una macchina del genere bisogna rifare le carte e sono tempi record.
Adesso che ve ne andate, che cosa ne sarà di questo spazio?
Con tutta questa storia delle autorizzazioni non lo so. Ci era venuto in mente di fare un invernale ma al momento non vogliamo partire, vogliamo essere tranquilli sotto quel punto di vista. In realtà noi volevamo sdoppiarci.
Na Cosetta al Pigneto è un’idea che non deve morire, non è una questione di numeri e di spazi, quando l’ho minimamente accennato a qualche amico addetto ai lavori mi ha fulminato con lo sguardo.
Na Cosetta è uno spazio fatto in una determinata maniera per fare determinate cose. Abbiamo fatto anche band importanti in versione acustica, una pazzia in spazi come quelli.
Parliamo dei concerti di quest’estate siete riusciti a metter su una programmazione che ha intercettato diversi gusti. Da giugno a settembre circa 70 concerti (nonostante i problemi). Passando dall’alternative rock “storico” italiano, dando spazio a sonorità più dub e rap, a fianco dell’indie italiano.
Per tutti i gusti fino a un certo punto. La musica è derivativa e un collante c’è sempre. Non vedo una grande differenza tra un Dimartino e Meganoidi. A parte che quello di Dimartino è l’album più bello dell’anno.
E’ tutto collegato. Noi veniamo da qualcosa prima come tutta l’arte: c’è sempre qualcosa che viene prima.
Non abbiamo l’ansia di cogliere per forza le novità, quello ce lo risolviamo a Na Cosetta invernale dove veramente prendiamo gli Eugenio in Via Di Gioia che fino a 5 anni fa non riuscivi nemmeno a pronunciarlo e adesso fanno migliaia di persone.
Non solo loro: i Pinguini Tattici Nucleari, Calcutta, Galeffi. Lì è più interessante il discorso di anticipare i tempi e scoprire.
Quest’anno poi, avete ospitato l’edizione annuale del Keep On Live Fest. Puoi dirmi questa associazione di categoria unica nel suo genere.
Credo molto nell’idea di Keep On Live , l’idea di vedere il mondo della musica dal punto di vista imprenditoriale, che si ha un po’ vergogna di dire questa cosa.
In genere si affronta il tema della musica come fosse un’opera d’arte che non va contaminata da ragionamenti e logiche di mercato ma non è affatto così, anzi tutto il contrario.
Keep On si muove in questa direzione, in cui tutto il mercato dovrebbe essere sostenibile. Si parla di locali, operatori, booking, agenzie, produttori, case discografiche, che sono sempre costantemente in sofferenza, anche quelli grandi.
In realtà è tutta una macchina che andrebbe riconosciuta anche a livello politico che una della mission dell’Associazione.
Le istituzioni dovrebbero riconoscere che le persone che vanno ai concerti sono più di quelle che seguono le partite di calcio la domenica.
Il pubblico musicale è più del pubblico calcistico. e questo è un dato interessante che deve essere valorizzato meglio.
Cosa ne pensi dello “stato di salute” della musica dal vivo in Italia e sui Festival? Proprio qualche giorno fa leggevo un’intervista sul Corriere della Sera a Gianluca Gozzi, direttore del festival torinese ToDays che ha lasciato il suo incarico. La cosa che mi ha colpito di più è come ha evidenziato il problema che a Torino è difficile fare una programmazione di lungo periodo per la musica dal vivo, sottolineando che in Italia, a differenza di altri paesi europei, si fatica a chiudere contratti con gli artisti internazionali che preferiscono mettere il nostro Paese in fondo ai loro tour. Ho citato il festival di Torino, ma i problemi sono analoghi anche a Roma nonostante i fondi pubblici (penso ai progetti di Estate Romana). Anche qui le line up si sanno poco prima dell’inizio della rassegna. Questo porta con sé non pochi disagi: non ultimo il turismo.
Secondo me oltre ad esserci un problema in Italia, c’è anche un problema territoriale, di poca disponibilità anche sui piccoli territori. Manca questo perché mancano gli sponsor, perché manca un’economia che ti permette di fare dei progetti a lungo raggio. Io vorrei pensare domani di fare dei lavori in questo spazio per fare il festival l’anno prossimo.
Se tu vai a chiamare uno sponsor non ti dirà mai sì, devi investire con soldi tuoi e devi fare al contempo altre cose durante l’anno per lavorare, è tutto estremamente complicato.
Sul fatto che anche Roma si sanno le line up delle manifestazioni o dei festival sempre all’ultimo, non credo che sia un problema della Capitale in se.
Ti faccio un esempio: gli Internazionali di Tennis: ho già comprato i biglietti per la finale dell’anno prossimo che già si sa quando sarà.
Non è un problema di Roma, è un problema della musica. Ci sono delle realtà che quest’estate non hanno aperto, perché è un terno al Lotto.
Un operatore, un direttore artistico come me dovrebbe prendere dei concerti e nel frattempo sperare che gli vengano concessi gli spazi, i numeri, tutte le carte per poter aprire.
Nel frattempo c’è la band che sta facendo un tour italiano e vorrebbe programmare la data su Roma e ha urgenza di farlo.
Cosa dobbiamo aspettarci dalla prossima stagione de Na Cosetta?
Ci aspettano altri 250 concerti. A parte una sosta di 20 giorni poi ripartiamo con i concerti tutti i giorni.
C’è la collaborazione con Radio Rock e con il Roma Jazz Fest che fa questa cosa che si chiama No Borders: jazz ma anche le sue contaminazioni. E quindi torniamo ad avere degli artisti stranieri che ci mancano molto.
Daje!