A sei anni di distanza dal precedente album di debutto solista “Simple Present“, torna il songwriter Milo Scaglioni con “Invincible Summer“, il suo nuovo disco.
Un nuovo capitolo per Milo Scaglioni, già anticipato dal singolo Locked in a circle, pubblicato a dicembre: un secondo romanzo di formazione musicale firmato dal “menestrello che ama la psichedelia” (come lo ha definito XL Repubblica nel 2017).
“Invincible Summer”, questo il titolo del nuovo album, fa riferimento ad un verso di una poesia di Albert Camus, in parte abbandona l’oscurità psichedelica a cui ci aveva abituato Milo Scaglioni, per accompagnarci verso una nuova dolce-amara e sopravvissuta speranza: quella di chi vive un’invincibile estate, anche nel più freddo degli inverni.
Mentre A Simple Present si ispira alla psichedelia dei tardi anni ’60 e al cantautorato di autori come Elliott Smith e Nick Drake, la sua seconda raccolta di canzoni in inglese, Invincible Summer, spazia in una direzione più ecclettica, abbracciando mondi sonori che partono dall’intimismo di una canzone come Sketches in the sand e arrivano all’urlo di un pezzo come Electric Shush, passando attraverso brani dalla psichedelia alla Velvet Undrerground, per poi virare verso un Richard Ashcroft del primo periodo solista e ripartendo per un viaggio in treno dalla Francia all’Olanda, nella storia di un amore da nouvelle vague raccontata in From Paris to Amsterdam.
Milo ci ha raccontato che andare in tour con i Baustelle è stata per lui un’esperienza formativa e che il mercato è anche un po’ una puttana.
Ecco com’è andata.
Questo album è come se fosse un super sintesi, e comprende anche diversi nomi che hanno fatto parte della tua storia, da Enrico Gabrielli a Roberto Dellera. Ci racconti la genesi di “Invincible Summer”?
Questo disco ha avuto una gestazione abbastanza impegnativa e decisamente non immediata. Ho iniziato a raccogliere canzoni già da poco dopo l’uscita di A simple present.
Nel frattempo avevo conosciuto, a un concerto a Palermo, Angelo Di Mino (il mio produttore).
Mi disse che stava per trasferirsi a Milano e aprire uno studio. lì per lì non diedi troppo peso alla cosa, ma finimmo per incontrarci di nuovo e gli feci sentire le canzoni che avevo, mi scrisse il giorno dopo per propormi di lavorare ad un disco insieme nel suo nuovo studio (il Blackstar di Milano, sono stato il primo a registrare lì e lo raccomando perchè è davvero un bel posto gestito in maniera serissima e professionalissima da gente preparatissima che non ama Paperissima).
Alcuni pezzi li abbiamo sviluppati insieme, alcuni li avevo. Dopo le sessioni live con la sezione ritmica (Antonio Leta e Roberto Dragonetti) ho invitato un po’ di amici ( Enrico, Roberto, Eloisa Manera) per aggiungere colori (che spesso hanno svoltato i brani). Poi ho cantato e infine abbiamo iniziato a mixare il tutto.
Posso dire che ho trovato il procedimento molto impegnativo, soprattutto emotivamente e ho odiato il disco fino a quando l’ho sentito masterizzato e quindi finito.
Ora ne sono estremamente felice e orgoglioso. Sono estremamente grato a chi vi ha partecipato.
Quanto c’è di autobiografico in questo titolo e nel messaggio che questo disco vuole portarsi dietro? E che ne è di “A simple present”?
È molto autobiografico e l’ha scritto il mio subconscio.
È indubbiamente stato un procedimento di psicanalisi per me, penso però (o almeno spero) che il risultato sia fruibile da chiunque. A simple present è ormai diventato the simple past. Il tempo tanto non esiste.
Ti capita mai di riascoltarti? Che sensazioni provi a riguardo?
Mi capita e finalmente mi piace. Quando ho riascoltato Invincible Summer finito per la prima volta, con le canzoni nel giusto ordine, mi sono spaventato…e ho pensato che fino a quel momento non sapevo di sapere molto più di me stesso.
Milano è ancora una città dove ti trovi a tuo agio? È cambiato qualcosa dal punto di vista musicale da quando hai pubblicato il tuo album di debutto?
Amo certi aspetti di Milano, mi ci trovo a mio agio certo, in fondo, anche se sono nato in provincia, Milano è sempre stata vicina. mi piacerebbe avere una casa in campagna però (e la vedo un po’ dura al momento), credo apprezzerei ancora di più la vita in città. Mi sembra che una città come Milano meriterebbe più posti in cui suonare, per fortuna però vedo fermento e gente che si impegna.
E che cos’hai capito del mercato musicale da quanto sei in tour coi Baustelle?
Ho capito che il mercato è una puttana, ma non serviva andare in tour con i Baustelle (esperienza davvero bella e unica).
foto di Giulia Ferrando